La presunta innocenza di Bob Durst

La presunta innocenza di Bob Durst

Il 14 marzo 2015, il multimiliardario Robert Durst, erede di un patrimonio immobiliare notevole e membro di una delle cinque famiglie più influenti di Manhattan, è stato arrestato a New Orleans. L’accusa è quella di omicidio volontario preterintenzionale, la vittima Susan Berman, una sua amica di lunga data freddata con un colpo alla nuca il 24 dicembre del 2000. Durst ha dietro di sé una lista di sospetti piuttosto lunga, è entrato e uscito dal carcere diverse volte, è stato imputato e testimone fondamentale per almeno due casi di omicidio e una sparizione, è stato un fuggitivo e un taccheggiatore. Si è rasato a zero per non essere riconosciuto e si è travestito da donna. È stato a New York, nel New Jersey, in California, in Texas, in Louisiana. È uscito sotto cauzione ed è stato ripreso. La notizia è che questa volta sembra non avere scampo e a incastrarlo è stato il regista Andrew Jarecki, che su di lui stava girando un documentario.

The Jinx non è un’accusa, è una condanna senza mezzi termini. Il documentario in sei parti di HBO si apre con il ritrovamento del torso depezzato di un uomo. Poi vengono le gambe e le braccia, galleggianti in sacchi della spazzatura dalle parti di Galveston, Texas. Le indagini conducono a una donna muta, che ben presto si rivela essere un uomo. Lo stesso Durst sospettato dell’omicidio della prima moglie, della quale si sono perse le tracce nel 1982, e lo stesso Durst scagionato per un pelo dall’esecuzione di Susan Berman. Per insufficienza di prove.

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Durst è lì, di fronte alla telecamera di Jarecki e parla, racconta la sua versione. In poco meno di sei ore di pellicola dice tutto quello che ha da dire, anzi appena troppo, fornendo, verso il finale, quella che sembra essere la prova indiziaria schiacciante — il processo è in corso e l’ultima parola ancora non si può mettere per iscritta. Tutto è cominciato nel 2010, quando Jarecki ha girato All Good Things — con Ryan Gosling e Kirsten Dunst, in Italia conosciuto come Love&Secrets, per qualche ragione — in cui raccontava la storia romanzata del rampollo alle prese con la presunta scomparsa della moglie. Già quel film non lasciava molti spiragli di improvvisazione, il sospetto conclamato che fosse stato Durst, non molto in asse a livello emotivo, a liberarsi della compagna e poi a fornire alibi sempre più sconclusionati contando sul fatto che il cadavere non sarebbe mai stato rinvenuto, emergeva senza mezzi termini. Gosling compiva tutti gli atti dicui Durts era accusato e, anzi, ne usciva più sporco di come c’era entrato. Ma quella era finzione — nemmeno troppo ben fatta. Dopo l’uscita del film nelle sale, Jarecki ha ricevuto una telefonata: «Sono Bob Durts, se vuoi puoi intervistarmi». Di lì comincia la realtà.

Dopo l’arresto per l’uccisione e la macellazione del cadavere del vicino di casa, Durst è stato rilasciato sotto una cauzione di 230mila dollari. In attesa di processo, è scappato verso Est ed è stato ripreso mentre tentava di rubare un sandwich al pollo in un supermercato. Jarecki comincia da qui la sua indagine. «Ero rasato per non farmi riconoscere e immagino di essermi chiesto cosa si prova a rubare qualcosa. Allora ho preso il panino e sono uscito. Pensavo non mi prendessero». A guardarlo sembra di osservare una grossa lucertola della sabbia. Fissa l’interlocutore con gli occhi lattiginosi e squaleschi, parla con un tono ben più misurato di quanto sarebbe necessario, di tanto in tanto si ferma. Quando non sa di essere ripreso prova le battute. «Non ho intenzionalmente ostacolato le indagini sulla sparizione di mia moglie. Intenzionalmente. Non l’ho uccisa intenzionalmente», ripete cercando il tono e di nuovo smette di convincere il pubblico. The Jinx ha qualcosa delle interviste di David Frost a Richard Nixon: da una parte c’è la certezza di cavarsela, dall’altra la fiducia nei fatti. E tutto concorre all’effetto ipnotico di chi mescola la brutale verità all’efferata fantasia. Se finisce male per lui, il pubblico va in visibilio, se finisce bene, si lascia andare in un moto di indignazione condivisa. In tutti e due i casi la vittoria per il network è schiacciante.

La cronaca dice come andranno le cose. Jarecki è talmente abile e fortunato da trovarsi in mano una prova sfuggita agli inquirenti per quindici anni a metà delle riprese, proprio nel momento in cui Bob Durst ha cominciato a stufarsi di essere intervistato e sembra che tutto stia andando a rotoli. Viene il dubbio di trovarsi di fronte a un abilissimo lavoro di fiction, per quanto tutte gli elementi si trovano al posto giusto. Viene il dubbio di essere noi, le vittime. Durst riprende a parlare e finalmente sbaglia, portando l’ago della bilancia dalla parte dei buoni.

Tutto concorre all’effetto ipnotico di chi mescola la brutale verità all’efferata fantasia

Durante la prima stagione di True Detective, tra le farneticazioni filosofiche di Mathew McConaghuey e la speranza di vedere qualche morto ammazzato, si ha più volte la sensazione che il bene e il male cambino posto da una parte all’altra della barricata. In The Jinx, che con il capolavoro di Nic Pizzolatto condivide abilmente lo stile narrativo e l’atmosfera eterea e umidiccia, succede più o meno la stessa cosa, tanto che, quando alla fine il mostro settantunenne, tremolante e incerto, compie il passo falso che rimarrà negli annali della televisione, proviamo un moto di tristezza, più che di sollievo. Ci rendiamo conto, dopotutto, di aver fatto il tifo per lui, di aver sviluppato un’empatia non nei confronti del freddo regista calcolatore, disposto a tutto pur di assicurare l’assassino alla giustizia, ma verso l’assassino stesso. Ci siamo chiesti, anche solo per un momento fugace represso immediatamente dal buon senso, se non fosse davvero un jinx, uno iettatore, vittima di un immenso complotto perpetuato dalla famiglia ai suoi danni. E qui sta il genio, HBO, come di consueto, lo sa.

La soddisfazione di vedere i cattivi puniti per le loro malefatte funziona, ma ancora meglio funziona quando i cattivi vengono prima umanizzati e poi brutalizzati. Per tutto il documentario di Jarecki siamo costretti a fare i conti con quello che Durst ha fatto, ma anche con quello che è. Lo vediamo cedere alle sue tentazioni più vili, sfidare l’ordine restrittivo imposto dal fratello, in zainetto e calzoncini corti come un vecchio turista spaesato. Lo sentiamo borbottare da solo, lo vediamo commuoversi quando gli viene letta la sentenza di assoluzione. Siamo forzati a considerarlo un essere umano e ogni volta reprimiamo il pensiero con la realtà che conosciamo, con i pezzi di cadavere galleggianti e i colpi di pistola alla nuca. Ripetuti, rimbombanti. Ma niente, il pensiero resta lì e torna a galla alla fine, quando dovremmo gioire e invece ci sorprendiamo preda di un dubbio malinconico: e se davvero fosse lui, la vittima? The Jinx è questo e per questo va guardato, perché l’opera televisiva non è mai stata così vicina alla realtà da influenzarla e perché ci lascia con una stretta al petto, che nemmeno se fossimo noi, Bob Durst, proveremmo.

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