Prima considerazione del tutto estemporanea: io sono attempata e mi ostino a chiamare la scuola dell’infanzia o scuola materna «asilo», venendo spesso cazziata da altre mamme, chissà perché poi? Non è che inquino il concetto facendo piombare i vostri figli a uno stadio evolutivo inferiore… o almeno vi assicuro che non è nelle mie intenzioni! Quindi se qualcuno nota questa mia defaillance, la prenda per quella che è: il vezzo di una rimasta ancora con la testa agli anni ’80!
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Faccio una ulteriore premessa per mettere le mani non avanti, di più: checché se ne dica, l’Italia per quanto riguarda l’offerta di servizi per l’infanzia, rispetto a molti Paesi, rimane una delle Nazioni che garantisce l’accesso più universale ed economico. In Germania nonostante una legge che in teoria garantisce un posto all’asilo ad ogni bambino, soprattutto nelle grandi città, è davvero molto difficile ottenerlo, questo posto. Non parliamo del tempo pieno. Nella Svizzera tedesca la materna finisce alle 11.45 (pranzo escluso), come dire: giusto il tempo per le mamme di far la spesa e preparar il pranzo e poco più. Quindi mamme italiche, se leggete, tirate un sospirone di sollievo e andate pure avanti serene.
Detto questo, nella mia esperienza, Kindergarten e Scuola d’Infanzia sono due universi paralleli, che non si toccano, anzi che viaggiano in galassie diverse e con diversi obiettivi. La materna italiana è poco più di un parcheggio, l’autonomia dei bambini rimane un obiettivo di cui a stento si parla, se non per cose molto piccole e inadeguate all’età; si sta poco all’aria aperta e le gite sono un evento rarissimo. All’asilo tedesco il percorso educativo del bambino sembra star molto a cuore alle maestre che spesso danno consigli specifici. In Italia il colloquio medio è: tuo figlio è bello, bravo, simpatico e non rompe: siam felicissime di averlo in classe. Che sarà anche una soddisfazione, ma due indicazioni in più, no?
Foto di Valentina Cavalli
Cosa amo del Kindergarten crucco? La libertà, libertà fisica, in primis. I bambini stanno tantissimo all’aria aperta, quasi con ogni condizione climatica, ovviamente adeguatamente equipaggiati con stivali da pioggia, impermeabile e i mitici matschhose (letteralmente pantaloni per la fanghiglia) nelle stagioni più calda, tutoni da sci e stivali da neve quando fa freddo. La natura è una componente fondamentale della vita del bambino, anche nelle città, anche d’inverno.
L’infanzia è un regno magico, anche se molto concreto, che va goduto appieno nel suo lato più vero: il gioco, che poi è il modo di imparare dei bambini, la libertà di sperimentare, scoprire, mettersi alla prova. Le regole ci sono, ma sono dei quadri chiari e sicuri entro cui muoversi, e all’interno dei quali c’è un bel perimetro di libertà. Nella mia esperienza di asilo italiano ci son tantissime regole in cui il bambino non impara, ma è semmai obbligato ad ubbidire, per poi imparare come sfuggirle e come evitare la “punizione”.
Foto di Valentina Cavalli
Anche la denominazione è indicativa: Kindergarten (giardino dell’infanzia, come un luogo protetto, ma dove coltivare talenti e capacità) e scuola dell’infanzia, che già richiama al percorso scolastico, ai doveri. Non che in Germania non ci siano regole e doveri (potete immaginarvi), ma mi pare un approccio all’infanzia davvero differente.
Altra cosa bella: mi sembra che i kindergarten tedeschi abbiano naturalmente assorbito metodologie e strumenti di modelli educativi “alternativi”, in particolare quelli montessoriani (come dire, nemo profeta in patria…) e steineriani, in un mix abbastanza equilibrato e aperto. In Italia la materna pubblica invece pare vivere congelata nel tempo, e le belle iniziative vanno attribuite a singoli educatori o dirigenti molto illuminati. Se mancano questi, tutto scricchiola, soprattutto l’entusiasmo e la voglia di fare.
Foto di Valentina Cavalli
Non crediate che sia solo una questione di stipendi (è vero, gli educatori percepiscono stipendi bassi, ma se pensate che in Germania guadagnano praticamente lo stesso che in Italia – e di fatti in pochissimi lo vogliono fare- il problema non sta davvero lì). E forse non è nemmeno istituzionale. Credo sia più un’attitudine culturale, che coinvolge la società italiana contemporanea su diversi livelli. Non nascondo che è una delle cose che fa più male, quando rientro nel nostro Belpaese, che bello è davvero, veder sprecare un potenziale enorme e non puntare al futuro.
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Valentina è una delle autrici di amichedifuso.com, un blog scritto da donne e mamme espatriate in diverse nazioni e continenti. «Pensiamo che nel mondo ci siano altre Italiane che stanno vivendo le nostre stesse esperienze – dicono di sè – o che stanno per trasferirsi altrove, o che semplicemente vogliono saperne di più su come si vive all’estero. Per questo siamo qui».