Vanilla LatteIl vero problema con Trump è che si diverte troppo

Il vero problema con Trump è che si diverte troppo

È naturalmente prematuro avventurarsi in qualsivoglia previsione o pronostico relativi alle elezioni presidenziali che, tra quindici mesi, nel novembre 2016, chiameranno gli americani a scegliere il prossimo inquilino della Casa Bianca. E non è distante solo l’atteso election day che incoronerà un nuovo Comandante in Capo dopo otto anni di amministrazione democratica targata Obama: anche per le stesse consultazioni primarie per la selezione dei candidati dei principali partiti sarà necessario attendere più o meno centosettanta giorni.

Ogni scenario è dunque possibile, al momento. Non è facile prevedere chi saranno i front-runner, se Hillary Clinton si rivelerà la candidata inevitabile, se Bernie Sanders la supererà a sinistra, se Joe Biden scenderà in campo né, sul fronte repubblicano, chi la spunterà tra i tantissimi (sedici, attualmente) contendenti. Tuttavia, con l’inizio di quella che senza dubbio alcuno sarà una lunga e infuocata campagna elettorale per ottenere la residenza al 1600 di Pennsylvania Avenue, a Washington, c’è una figura che, più di ogni altra, è emersa in maniera forte e, almeno dal punto di vista mediatico, con effetti dirompenti, e risponde al nome di Donald John Trump.

Certo, è presto. Certo, potrebbe rivelarsi una “bolla” come già ce ne sono state in passato. Certo, è alquanto difficile, nonché altamente improbabile, che alla fine sia lui a ottenere la nomination del Partito Repubblicano per le elezioni 2016. Tuttavia, in questi giorni, sotto la luce dei riflettori c’è solo lui, il magnate-costruttore-imprenditore-autore-presentatore con ambizioni da Presidente. It’s all about Trump. Donald Trump è dappertutto, basta accendere un qualsiasi notiziario d’oltreoceano (e non solo). Ed è primo nei sondaggi di gradimento – sia prima, che dopo il dibattito – nell’elettorato del Gop, in materia di economia, lotta al terrorismo, immigrazione e individuato come “il candidato con più chance di vincere”. Poco importa che, fino a qualche anno fa, lui abbia generosamente sostenuto il Partito Democratico.

It’s all about Trump. Donald Trump è dappertutto ed è primo nei sondaggi di gradimento nell’elettorato del Gop, in materia di economia, lotta al terrorismo, immigrazione 

Alcuni indicatori portano a pensare che quello di Trump non sia né più né meno che fenomeno provvisorio, gonfiato e cavalcato dai media, che andrà a esaurirsi nel tempo. Nel 2012, i due aspiranti presidenti repubblicani Rick Perry (governatore del Texas, di nuovo in corsa, ma in grosse difficoltà) e Newt Gingrich (già Speaker of the House negli anni ’90) ebbero qualche settimana di gloria nei sondaggi, salvo poi rientrare nella normalità e cedere il passo a Mitt Romney. Allo stesso modo, c’è chi evidenzia che un conto è primeggiare nei sondaggi generali, ben altro conto sia riuscire a vincere nelle primarie dei singoli Stati, territori non sempre dall’esito scontato, in cui possono essere fondamentali altri fattori oltre alla popolarità.

Al di là di tutte queste necessarie considerazioni preventive – nonché di ogni valutazione politica sulle sue idee e soprattutto sul suo modo di esporle – l’impressione è che, allo stato attuale delle cose, Donald Trump rappresenti molto più di una semplice “bolla” passeggera e che, salvo imprevisti, possa rappresentare un fattore determinante nelle corsa alla Casa Bianca del 2016. Tutto questo, a prescindere dalle sue reali ed effettive chance di conquistare prima la nomination (difficile), quindi di vincere le elezioni (difficilissimo).

L’impressione è che Trump rappresenti molto più di una semplice “bolla” passeggera e che, salvo imprevisti, possa rappresentare un fattore determinante nelle corsa alla Casa Bianca del 2016

In primis, come ha evidenziato l’autorevole commentatore politico Chris Cillizza su The Fix del Washington Post, perché Trump «si sta divertendo troppo»: è in cima nei sondaggi, ha addosso tutta l’attenzione dei media, non si fa che parlare di lui. «Pensateci bene», scrive Cillizza. «Trump a-m-a essere al centro dell’attenzione. E l’unica cosa migliore, nella sua mente, di essere al centro dell’attenzione del mondo del business è essere al centro dell’attenzione nei mondi del business E della politica». In poche parole, il suo principale obiettivo è stato ampiamente raggiunto. Inoltre, per personalità e per capacità comunicative, è in grado di presentarsi come “candidato anti-sistema”, con un pizzico di populismo, e di far interessare alla politica anche fasce di elettorato che normalmente non si appassionano alle campagne elettorali. E poi lo afferma lui stesso, Donald Trump in persona: «La campagna sta andando in modo fantastico. I dati dei sondaggi sono incredibili. Andiamo a gonfie vele. Sto molto bene. Mi piace davvero tanto».

In secondo luogo, perché Trump, grazie alla notorietà e – soprattutto – alle pressoché illimitate risorse finanziarie, in qualità di 133esimo uomo più ricco d’America, può permettersi di fare ciò che vuole. Può proseguire la propria campagna elettorale finché lo desidera, senza rendere conto ad alcuno, se non a sé stesso. Questo lo rende quasi invulnerabile, ma in particolar modo, per certi aspetti, un vero e proprio spauracchio per il Partito Repubblicano. Anzi, Donald Trump è, paradossalmente, l’incubo numero uno per il Grand Old Party, in questo momento: se dovesse a sorpresa ottenere la nomination per la Casa Bianca, snaturerebbe il partito e avrebbe probabilmente poche chance di successo nella sfida contro i Democratici (su tutti Hillary Clinton); se non dovesse ottenerla, eventualità assai più realistica, potrebbe però decidere di infischiarsene, e di proseguire la campagna elettorale in solitaria, da indipendente, o in rappresentanza di un terzo partito. È questa la prospettiva che, più di ogni altra, toglie il sonno ai vertici repubblicani, che finora sono stati titubanti se attaccarlo frontalmente, ignorarlo, o usare metodi gentili per scongiurare tale ipotesi.

Se dovesse scegliere di correre da solo, non sarebbe abbastanza forte per vincere le elezioni e diventare Presidente degli Stati Uniti. E questo lo sa anche lui (forse). Tuttavia, pescando nell’elettorato conservatore, sarebbe in grado di togliere un quantitativo importante di voti ai repubblicani, consegnando così le chiavi della Casa Bianca al candidato del Partito Democratico. Nel 1992, il multimilionario Ross Perot decise di fare lo stesso, risultando decisivo nel successo di Bill Clinton contro il Presidente uscente George H.W. Bush. Ventiquattro anni dopo, un altro multimilionario potrebbe fare lo stesso, magari con Hillary nel ruolo che ebbe suo marito Bill, e con Jeb nel ruolo di suo padre George. Al netto di tutti gli eccessi e delle bizzarrie del fenomeno mediatico, Donald Trump, potrebbe dunque risultare un fattore determinante nel definire chi, nel 2016, diventerà leader della più importante potenza dell’Occidente. A quindici mesi dal voto, è l’uomo che tiene in pugno l’America. Da temprato uomo d’affari, ne è probabilmente consapevole. E, per questo, si sta divertendo un sacco.

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