In piena forma a dispetto delle sue 73 primavere, indipendente che corre per la nomination dei Democratici, di religione ebraica e orgogliosamente unico socialista all’interno del Senato degli Stati Uniti, il senatore del Vermont Bernard “Bernie” Sanders è – fenomeno Trump escluso – l’uomo politico del momento. Al tempo stesso incubo del Partito Democratico e sogno (non troppo) nascosto dei Repubblicani. Dopo aver annunciato ufficialmente la sua candidatura a fine aprile, l’ex Sindaco di Burlington, Vermont, è salito all’onore delle cronache tra luglio e agosto, con una serie di comizi in cui è stato capace di attirare un pubblico da record: 10 mila persone a Madison, Wisconsin, il primo luglio; 11 mila a Phoenix, Arizona, il 18 luglio; 15 mila a Seattle, l’8 agosto; 28 mila a Portland, Oregon, il giorno dopo; 27 mila 500 a Los Angeles, California, il 10 agosto. Un’affluenza senza precedenti, che nessun altro aspirante alla Casa Bianca è stato finora in grado di registrare (la Clinton, dal canto suo, non è mai andata oltre i 5 mila 500), da parte di un candidato che, fino a qualche settimana prima, godeva di scarsa o nulla considerazione, specialmente se posto al fianco del colosso Hillary Clinton.
L’ex Sindaco di Burlington, Vermont, è salito all’onore delle cronache con una serie di comizi in cui è stato capace di attirare un pubblico da record. Un’affluenza senza precedenti
Ma a rendere ancora più significativa la corsa di Bernie Sanders, oltre alle folle oceaniche dei suoi incontri pubblici, è stata la sua inattesa ascesa nei sondaggi di gradimento. A scanso di equivoci: la consorte di Bill Clinton rimane saldamente in testa su scala nazionale, con circa 35 punti di margine rispetto al rivale. Tuttavia, quest’ultimo è – a sorpresa – primo nel fondamentale Stato del New Hampshire, con una percentuale del 44% (rispetto al 37% di Hillary) attestato da una recente ricerca di Franklin Pierce University e Boston Herald. Percentuali che evidenziano, principalmente, un calo per quanto concerne l’appeal di Hillary Clinton, al centro di polemiche e di scandali legati al suo uso delle e-mail, che trovano ampio spazio sulle cronache quotidiane di tutto il mondo. A trarne beneficio, ça va sans dire, in assenza di altri candidati di spicco (su tutti, l’attuale Vice Presidente Joe Biden, che ancora non ha deciso se scendere in campo), è Bernie Sanders che, oltre ad accendere gli animi in pubblico, risulta essere tra i più attivi politici su social network quali Facebook, Twitter e Reddit.
Sostenuto apertamente dalla popolare attrice e presentatrice comica Sarah Silverman, che ha introdotto molti dei suoi comizi, Sanders rappresenta, oltre che un pericolo inatteso per la preannunciata cavalcata trionfale di Hillary Clinton, una vera e propria speranza per il fronte Repubblicano. «È di estrema sinistra. Se Sanders fosse il candidato dei Democratici sarebbe grandioso, penso che riusciremmo a vincere in 49 Stati su 50», ha affermato a “Meet the Press” John Kasich, Governatore repubblicano dell’Ohio che ambisce a ottenere la nomination del suo partito. Nelle sue parole c’è ironia, ma non troppa. Perché seppur altamente improbabile, se il Senatore del Vermont diventasse davvero il candidato del Partito Democratico (più per demeriti di Hillary, che per meriti suoi), per il GOP la strada si farebbe notevolmente in discesa, con la ghiotta possibilità di chiamare a raccolta il voto conservatore contro la “minaccia” socialista di un candidato ancor più a sinistra di Barack Obama, e promotore di politiche progressiste e “nord europee” in materia di economia, ambiente e diritti civili.
Hillary Clinton rimane saldamente in testa su scala nazionale, con circa 35 punti di margine rispetto al rivale. Ma per i sondaggi Sanders è primo nel fondamentale Stato del New Hampshire
A rallentare la scalata di Sanders, finora, solo la protesta di alcuni esponenti del movimento “Black Lives Matter”, che hanno fatto irruzione nel corso dei suoi eventi pubblici, per lamentare la scarsa attenzione che il candidato, a loro dire, starebbe dedicando ai temi razziali e alla riforma delle forze di polizia negli Stati Uniti. Ma il problema principale, per il socialista del Vermont, sarà rappresentato dalla durata della campagna elettorale. In primis, almeno per il momento, in assenza di Biden o Kerry o di altre personalità di peso, l’establishment del partito dell’asinello è pressoché interamente schierato con team-Hillary. Inoltre, «la gente diventa maggiormente pragmatica man mano che si avvicina il giorno del voto», ha notato Joe Trippi, stratega democratico e responsabile della campagna di Howard Dean nel 2004, in un’intervista al Washington Post ripresa anche da Vox. Con il passare del tempo, l’elettorato tende dunque ad abbandonare gli entusiasmi iniziali per stringersi attorno a candidati con maggiori chance di successo – valutazione che si può adattare perfettamente anche al fenomeno-Trump tra i Repubblicani.
Un aspetto non proprio secondario, considerando che all’election day del novembre 2016 manca ancora più di un anno, e per il reale inizio delle primarie, con i primi e decisivi appuntamenti in Iowa e New Hampshire, bisogna attendere circa sei mesi. Quindi, è facile ipotizzare che gli elettori Democratici, pur non particolarmente entusiasti di sostenere l’ex First Lady, al momento di effettuare una scelta possano puntare su di lei in quanto candidata con più possibilità di sconfiggere l’avversario repubblicano. Lasciando così da parte le passioni probabilmente provvisorie come Bernie Sanders, alla stregua degli amori estivi, un po’ come quelle squadre che brillano nelle amichevoli di agosto, per poi venire ridimensionate nel corso del campionato.