’O pernacchioCronache di frontiera: il nuovo giornalismo di Sky Tg24

Quattro episodi, di circa un’ora ciascuno, in cui viene raccontata la periferia italiana e il tema, delicatissimo, dell’immigrazione e dell’integrazione culturale

Regina si allunga sul tavolo della cucina, il gomito che sfiora la tovaglia di plastica a fiori e la bocca che si allunga in una smorfia. Dà un buffetto sulla mano della figlia. Lei la guarda, stringe gli occhi; e non risponde. «Non abbandonare gli studi», le dice Regina. Parla un italiano stentato, ma comunque chiaro. Ha una voce ferma, seria. Di madre. «Qualunque cosa tu faccia, non abbandonare gli studi». Regina è una donna africana; vive a Roma con i suoi figli e fa di tutto pur di non fargli mancare niente. Agostino, invece, è un imprenditore che rischia il fallimento; non accetta che lo Stato italiano aiuti gli immigrati, e non lui – quelli come lui. «Li voglio pure io 35 euro al giorno», protesta, gli occhi fissi alla camera, la voce rauca per le urla e la tensione.

Poi ci sono Tangir e Memhet, figli di immigrati, italiani, che studiano e pensano al futuro; e come loro, Mattia, ventuno anni, di Roma, che si è convertito all’Islam. I protagonisti di Cronache di frontiera sono persone comuni: italiani, immigrati, figli degli uni e degli altri. Raccontano la loro vita e la loro storia. Parlando al pubblico con naturalezza. Nessuna domanda, nessun commento. Solo parole che seguono parole, una fotografia nitida, la camera che in qualche momento si fa da parte per lasciare spazio a loro, ai protagonisti. Più di dieci storie alternate dal primo all’ultimo minuto.

Nessuna domanda, nessun commento. Solo parole che seguono parole, una fotografia nitida, la camera che in qualche momento si fa da parte per lasciare spazio a loro, ai protagonisti.

Sky mette punto e va a capo. Con Cronache di frontiera prova a fare un passo indietro e a lanciare un nuovo tipo di contenuto, seriale, concentrato, ambientato nella periferia di Roma e con uno scopo ben preciso, sensibilizzare piuttosto che informare. Calarsi nella cronaca e non limitarsi – rischiando, come spesso accade, di scadere nel banale – a commentarla.

Cronache di frontiera è girato da filmmaker, non da giornalisti, e prodotto da Fremantle Media. Si ispira al format inglese di Beneftis Street e ha l’obiettivo di riprendere – e di riportare fedelmente – la quotidianità dei confini, delle periferie e delle zone più povere. Dove il colpo è stato avvertito con più forza dalla popolazione. Dove gli italiani fronteggiano, e talvolta spalleggiano, gli immigrati; dove gli immigrati finiscono quasi per scontrarsi con i vecchi italiani; e dove gli italiani più giovani talvolta sono figli di immigrati, e quindi a metà, sul confine: doppiamente coinvolti.

È una storia che conosciamo, la stessa che ha riempito – e riempie ancora – la cronaca quotidiana: qui è affrontata, però, con un’attenzione diversa. Non una criticità giornalistica, ma una visione filmica: una mini-serie di quattro puntate, ciascuna della durata di circa un’ora, in onda a partire da stasera.

Cronache di frontiera è girato da filmmaker, non da giornalisti, e prodotto da Fremantle Media. Si ispira al format inglese di Beneftis Street e ha l’obiettivo di riprendere – e di riportare fedelmente – la quotidianità dei confini, delle periferie e delle zone più povere

Il taglio documentaristico è, probabilmente, la caratteristica più importante di questo nuovo format: l’intervistatore si fa indietro, lasciando la scena all’intervistato; la camera mette a fuoco volti, occhi e fronti aggrottate, e sembra quasi prendere una pausa. E rimanere in sospeso. Non ci fosse lo schermo del televisore, o di un cellulare, a fare da tramite, potrebbe essere benissimo una storia che conosciamo. Il quotidiano di ogni giorno: la concorrenza tra i negozi dei cinesi, che vendono a buon mercato, e quelli degli italiani, sommersi e schiacciati dallo sgravo fiscale; una struttura enorme, mastodontica, che fa da moschea ma che moschea formalmente non è, e la gente, fedeli e non, che si affollano all’esterno, chi per pregare chi per paura.

«È una ventata di aria fresca», ha detto Sarah Varetto, direttore della testata, parlando di Cronache di frontiera. L’unica nota artificiale è rappresentata da una visione registica ben precisa, con un montaggio che si fa coinvolgente e che riesce – aiutato dalla musica, dai toni e dai tagli – ad appassionare lo spettatore. Si tratta di uno storytelling visivo, di immagini e di colori; uno storytelling utile, da cui ripartire – perché spesso manca l’approfondimento, e lo spettatore viene abbandonato a se stesso, sommerso dall’over-rolling delle notizie (le strisce che girano a piè del quadro, che provano a raccontarci, a dirci, e che invece, purtroppo, restano scritte mute, il bianco sul rosso: prendere o lasciare).

Quindi un passo indietro. Un respiro profondo. E il tentativo, ennesimo, di dare una visione a un problema – a una realtà italiana. Non sentiamo la voce di chi gira, gli unici suoni provengono da quello che vediamo, dalla realtà; i protagonisti di Cronache di frontiera si rivolgono alla camera e si confessano. Lo spettatore, così, viene rimesso al centro. E Sky torna a sfruttare la sua neo-abilità con le serie. Perché Cronache di frontiera è, innanzitutto, una serie. Ai personaggi di fiction vengono sostituiti personaggi reali, a storie che potrebbero appartenere a libri e a sceneggiature c’è la narrazione puntuale della vita di ogni giorno. Un periodo di pre-produzione durato tantissimo, per conoscere la periferia, e riprese che sono andate avanti per circa 8 settimane. La quotidianità, prima di ogni cosa. Ingrediente essenziale per questo – grande – salto.

È evidente come Sky tenga conto dell’importanza – spesso sottovalutata – di offrire un nuovo punto di vista: non basta più dare la notizia in un mondo che è costantemente bombardato da input e output dei dispositivi wireless; bisogna provare ad arricchire, a compensare, a inspessire la notizia. A renderla, paradossalmente, una non-notizia. A farla racconto, e non sempre e solo commento, del vero. Perché è dalla vita di ogni giorno che, di questo passo, ci stiamo allontanando: una narrazione eccessivamente di parte, o troppo coinvolta, può fare più male che bene. E quindi punto e a capo, si ricomincia a battere sulla macchina; si ricomincia dalla realtà. Pura e semplice.

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