Vanilla Latte“Avete cancellato il Natale”: la tempesta in un frappuccino di Donald Trump

La polemica del candidato repubblicano contro le tazze di Starbucks senza simboli natalizi alla fine ha fatto solo pubblicità sia alla catena di caffetterie che allo stesso Trump. Ma non ha senso, perché non c’è alcuna rimozione del Natale nei prodotti di Starbucks

Se buona parte del pianeta assiste inerme e si interroga su argomenti di drammatica attualità quali il dilagare di Isis, l’emergenza immigrazione o la mai risolta questione mediorientale, è difficile immaginare che, nella scorsa settimana, buona parte del dibattito (politico, ma non solo) in America sia stato dedicato a una tazza di cartone. Eppure, ciò è avvenuto realmente: l’ultima – ma solo in ordine di tempo – “nontroversy” (neologismo che fonde le parole “non” e “controversy”, ovvero l’esatto opposto di controversia) che ha animato fior di polemiche dall’altra sponda dell’Atlantico riguarda le nuove tazze di Starbucks.

Mentre in Italia ci riprendevamo dalla diatriba sulla opportunità o meno di accogliere il colosso del caffè americano sul nostro suolo (perché anche noi abbiamo le nostre “nontroversy”), negli Stati Uniti ha destato scalpore la tazza che Starbucks ha realizzato in occasione delle ormai imminenti festività natalizie, che riporta il logo della società su uno sfondo rosso. Un bicchierone da caffè americano, rosso, senza ulteriori decorazioni. Apriti cielo. Poche ore dopo il lancio delle nuove “holiday cups”, su Internet e sui social network sono apparsi migliaia di messaggi da parte di utenti decisamente inviperiti, secondo i quali l’azienda avrebbe, con questa scelta, voluto dichiarare guerra al Natale. Tutto a un tratto, è così tornata di moda la vexata quaestio della “Christmas Controversy”, o “Christmas War”, ovvero la tesi, fatta propria da gruppi religiosi che si professano “cristiani”, secondo la quale, da qualche tempo, sarebbe in atto una serie di manovre più o meno silenziose, da parte di istituzioni, media e aziende per “cancellare” il Natale, e con esso i valori cristiani, dalla cultura americana.

Con le tazze di cartone è tornata la “Christmas Controversy”, o “Christmas War”: la tesi di gruppi religiosi secondo la quale sarebbero in atto manovre da parte di istituzioni, media e aziende per “cancellare” il Natale, e con esso i valori cristiani, dalla cultura americana

Dopo una serie di tweet da parte di gruppi religiosi evangelici, il breve video di Josua Feuerstein, un utente dell’Arizona che invitava al boicottaggio di Starbucks, diventato in brevissimo tempo virale, ha dato visibilità nazionale alla vicenda. Quindi, come se non bastasse, dopo il diffondersi dell’hashtag #MerryChristmasStarbucks, a trasformare tutto in un argomento politico è arrivato Donald Trump, candidato alla Casa Bianca in corsa per le primarie del Partito Repubblicano. Il quale, ancora saldamente in testa nei sondaggi, nel corso di un suo comizio a Springfield, Illinois, non ha escluso la possibilità di sostenere un’azione di boicottaggio del colosso delle caffetterie. «Quando sarò Presidente, torneremo tutti a dire “buon Natale”, ne potete stare certi», ha aggiunto Trump – che, tra l’altro, ha ricordato di ospitare alcuni locali di Starbucks nelle sue proprietà, a cominciare dalla Trump Tower di Manhattan.

La polemica, tuttavia, è in questo caso del tutto fuori luogo. E il front runner repubblicano, forse nel tentativo di pescare nell’elettorato della destra religiosa, ha completamente sbagliato obiettivo. Da una parte, è vero che molte aziende, nel corso degli anni, abbiano spesso preferito parlare genericamente di “holidays”, feste, anziché di “Christmas”, Natale, magari sulla base di ragionamenti di marketing al fine di attirare più ampie fette di clientela: a prescindere da giudizi di merito, nella logica del mercato è comprensibile che – per esempio – una compagnia di giocattoli, nella stagione delle feste, voglia vendere prodotti a tutti i bambini, senza fare distinzioni religiose. Dall’altra, bisogna evidenziare che, in questo caso, la scelta di Starbucks non ha alcunché a che vedere con la cosiddetta “Guerra del Natale”.

Molte aziende, nel corso degli anni, hanno preferito parlare genericamente di “holidays”, feste, anziché di “Christmas”, Natale, magari sulla base di ragionamenti di marketing al fine di attirare più ampie fette di clientela

In primis, prima di dare vita a tale putiferio mediatico, sarebbe bastato dare un’occhiata alle precedenti edizioni della tazza festiva della catena di caffetterie: dal 2009 al 2014, su sfondo rosso, qualche addobbo dell’albero, un pupazzo di neve, una slitta. L’anno scorso, il disegno di un pino stilizzato. Giusto per chiarire, nessuna traccia di Gesù, Re Magi o scene tratte dalla Bibbia, come hanno fatto notare in maniera ironica i presentatori comici Stephen Colbert ed Ellen Degeneres.

In secondo luogo, Starbucks stessa ha spiegato di aver scelto questo stile minimalista per permettere ai clienti di raccontare le loro storie, come una sorta di lavagna nera su cui scrivere: «Creare una cultura di appartenenza, inclusione e diversità è uno dei valori alla base di Starbucks, e ogni anno durante le feste la nostra compagnia mira a offrire ai clienti un’esperienza che ispiri lo spirito della stagione. Starbucks continuerà ad accogliere e abbracciare clienti di ogni provenienza e ogni religione nei suoi locali in tutto il mondo», si legge nella nota ufficiale diramata dalla società. Inoltre, a ridurre a zero le polemiche sulla presunta crociata contro i valori cristiani dell’azienda guidata da Howard Schultz, in tantissimi su Internet hanno ricordato la presenza, nei locali di Starbucks, di prodotti quali il calendario dell’avvento, il caffè “Christmas blend”, o la “Merry Christmas Gift Card”, contenenti dunque riferimenti diretti ed espliciti al Natale e alle tradizioni religiose.

L’attacco di Donald Trump è stato fuori bersaglio per la presenza, nei locali di Starbucks, di prodotti quali il calendario dell’avvento, il caffè “Christmas blend”, o la “Merry Christmas Gift Card

Al di là del merito della diatriba, molti commentatori si sono chiesti il perché di tanto rumore per una questione di così poca importanza, e in breve tempo si è diffuso il contro-hashtag #ItsJustACup: è solo una tazza. Inoltre, nel corso della escalation del dibattito, gli storici rivali della catena Dunkin’ Donuts hanno lanciato le loro tazze per Natale, caratterizzate da un disegno festivo e dalla scritta “Joy”, circondata da agrifoglio e fiocchi di neve, suggerendo una risposta indiretta alle polemiche (in realtà, da anni DD usa tazze con su scritto “Joy”: questione di tempismo).

È difficile, obiettivamente, capire chi possa essere uscito vincitore da questa bizzarra contesa: di certo, è innegabile che Starbucks abbia ricevuto una notevole quantità di pubblicità gratuita, a livello internazionale. Una tempesta in una tazza di frappuccino, insomma. Un dibattito fondato su basi poco solide di cui si poteva tranquillamente fare a meno. Una “nontroversy”, appunto, che Donald Trump, forse per calcoli elettorali a breve termine, ha tentato di cavalcare politicamente, dimostrando però scarsa lungimiranza: se davvero vuole diventare l’inquilino della Casa Bianca, forse farebbe meglio a occuparsi di questioni più importanti, dei bicchieri di Natale di Starbucks.

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