Russia-Turchia: niente guerra, ma la tensione sale (e l’Isis respira)

Dopo l’abbattimento del jet russo: né a Putin, né a Erdogan conviene combattersi, ma le relazioni internazionali si stanno logorando. A beneficio dello Stato Islamico

L’abbattimento di un caccia russo al confine tra Siria e Turchia da parte degli F-16 Ankara – e, pare, l’uccisione dei due piloti ad opera dei ribelli siriani – è un fatto gravissimo, senza precedenti nella guerra siriana. Finora infatti Russia, Stati Uniti, Israele e Turchia – i principali attori stranieri nei cieli di Siria – erano riusciti a evitare di pestarsi i piedi gli uni con gli altri.

Adesso che “l’incidente” è avvenuto, bisogna capire come leggerlo: un Paese Nato ha abbattuto un velivolo russo, oppure un Paese che sostiene i ribelli anti-Assad (ma non – esplicitamente – l’Isis) ha abbattuto un velivolo di un Paese che sostiene Assad contro i ribelli (inclusi quelli dell’Isis). Ovviamente la prima interpretazione sarebbe quella più pericolosa, perché sprofonderebbe il pianeta in un clima da guerra fredda, con Russia e Nato contrapposti come non accadeva da decenni. La seconda, al di là di qualche scossone di assestamento, probabilmente non stravolgerebbe il – pur già drammatico – quadro attuale e, stando alle ultime dichiarazioni di Steve Warren, portavoce del Pentagono, pare sia quella che sta prevalendo in ambienti occidentali. Anche il segretario generale Nato, Jens Stoltenberg, ha invitato alla calma per favorire una de-escalation.

«La reazione russa sarà probabilmente a livello diplomatico, verranno attivati i canali della legalità internazionale. In sostanza si farà passare del tempo per non fare nulla o quasi», sostiene Claudio Neri, direttore dell’Istituto italiano di studi strategici. «Una qualsiasi reazione miliare diretta contro la Turchia sarebbe infatti molto pericolosa, facendo scattare la clausola di difesa collettiva del trattato Nato. Per questo credo sia poco credibile che la situazione degeneri da un punto di vista bellico».

Anche reazioni di tipo economico (nonostante le dure parole di Putin, che parla di “coltellata alla schiena” e di “conseguenze drammatiche” sui rapporti con Ankara) sono al momento difficili da prevedere: la Turchia importa una quota rilevante del suo fabbisogno energetico dalla Russia, e quindi Mosca potrebbe “vendicarsi” su questo fronte, ma allo stesso tempo l’economia russa – già in affanno a causa delle sanzioni post-Ucraina – ha estremo bisogno di proseguire le esportazioni. Un’altra possibilità, ritenuta la più credibile dagli analisti, è che la Russia attui una ritorsione contro la Turchia ma limitata allo scenario siriano: ancora più bombardamenti contro i ribelli sostenuti da Ankara (moderati o qaedisti di al Nousra) e forse, ma meno probabile, un aiuto ai curdi, con cui Mosca ha dei legami storici. Di sicuro sta rafforzando la propria presenza militare, specificamente per la difesa contraerea: l’incrociatore Moskva (dotato del sistema contraereo Fort, analogo ai missili terra-aria S-300) si sta già posizionando vicino alla costa siriana. Inoltre i bombardieri russi nei cieli siriani, da ora in poi, saranno sempre scortati da caccia.

«La reazione russa sarà probabilmente a livello diplomatico, verranno attivati i canali della legalità internazionale. In sostanza si farà passare del tempo per non fare nulla o quasi»


Claudio Neri, Istituto italiano studi strategici

L’interpretazione di quanto accaduto dipende molto anche dai dettagli, al momento ancora non chiariti. Se, ad esempio, emergesse che la Turchia ha abbattuto il caccia di Mosca senza dare un robusto preavviso – una volta “illuminato” dai radar nemici perché altrimenti l’aereo russo sarebbe rimasto nello spazio aereo turco invece di tornare in Siria? – si potrebbe pensare che Ankara abbia voluto l’incidente per sabotare l‘avvicinamento in corso – dopo gli attentati di Parigi e l’abbattimento dell’airbus russo sul Sinai ad opera dell’Isis – tra Russia e Occidente.

Erdogan potrebbe in questo modo sperare di sfruttare le correnti più anti-russe presenti nell’amministrazione americana per far pesare la propria appartenenza alla Nato anche nello scenario siriano. In particolare ad Ankara preme stabilire, di concerto con gli Usa, una “zona cuscinetto” in Siria, vicino al proprio confine, da affidare ai ribelli moderati, “protetti” in questo modo dagli eventuali bombardamenti russi (ma visto il comportamento opaco della Turchia nei confronti del jihadismo siriano, Isis incluso, questa ipotesi continua a non convincere pienamente gli Alleati, Stati Uniti in testa): lo sconfinamento e il seguente abbattimento dell’aereo russo starebbero quindi a dimostrare ancor di più la necessità di un simile provvedimento. «Personalmente credo che la Turchia abbia voluto soprattutto affermare duramente l’inviolabilità del proprio spazio aereo», dice ancora Neri. «Da mesi proseguivano le scaramucce al confine tra aerei russi e aerei turchi, e Mosca non è nuova a far sconfinare i propri velivoli in territori Nato (spesso in nord ed est Europa). Questo abbattimento penso si possa leggere come un messaggio a non ripetere più in futuro certe condotte».

Se fosse invece accertato che il caccia russo ha ignorato i ripetuti avvisi delle autorità turche – Ankara parla di 10 ordini di allontanarsi dati in 5 minuti, tutti senza esito –, pur conscio del rischio di essere attaccato, bisognerebbe allora interrogarsi su quali vantaggi speri di ottenere Putin da un’escalation della tensione con la Turchia (ipotesi questa ritenuta dagli esperti la meno probabile). Ankara in questo momento è l’alleato più forte dei ribelli siriani – i Paesi del Golfo, molto attivi fino a poco tempo fa, sono (temporaneamente) distolti dal caos yemenita, che si sta trasformando nel loro Vietnam contro i ribelli sciiti Houthi – e quindi il maggior ostacolo per Putin a mettere in sicurezza il suo alleato Assad.

Si potrebbe pensare che Ankara abbia voluto l’incidente per sabotare l’avvicinamento in corso – dopo gli attentati di Parigi e l’abbattimento dell’airbus russo sul Sinai ad opera dell’Isis – tra Russia e Occidente.

Dopo gli attentati di Parigi inoltre la Turchia ha registrato un nuovo minimo storico nei suoi rapporti con l’Occidente, che la accusano di aver aiutato l’Isis in ottica anti-Assad e anti-curda – in passato anche militarmente, ora economicamente comprandone il greggio di contrabbando – senza preoccuparsi delle conseguenze a livello di terrorismo internazionale. Che l’abbattimento del caccia russo sia stato quasi cercato (o al contrario subìto) da Putin, potrebbe essere comunque nell’interesse del Cremlino sfruttare il momento per sdoganare presso l’Occidente – e magari anche presso l’opinione pubblica interna – una condotta più aggressiva in Siria, non solo contro l’Isis ma anche contro gli altri ribelli (sostenuti in passato – debolmente – anche dagli Usa).

«In linea generale penso che ci sia una bassa probabilità di uno scontro aperto tra Russia e Turchia», conclude Neri. «Putin sa che non può permettersi di attaccare Ankara senza rischiare di scatenare la reazione militare della Nato. Passato il clamore credo che – sostanzialmente – tutto proseguirà come in precedenza». Il che non è molto incoraggiante, considerato il logoramento delle relazioni internazionali e la diffusione del terrorismo jihadista che lo scenario siriano sta producendo. Ma l’intreccio di interessi – americani, russi, turchi, curdi, sauditi, iraniani e ovviamente dei vari attori siriani – è tale che al momento nessuno sembra disposto a fare un passo indietro, e nemmeno uno – più deciso – in avanti. Tutti gli attori regionali e internazionali stanno a guardare cosa succede. Intervengono e ingeriscono, ma non in modo determinante. E il mondo diventa un po’ meno sicuro ogni giorno che passa.