Burnout: così sbroccano gli insegnanti

Le ricadute psicologiche di un mestiere che purtroppo ha perso prestigio

Un tempo l’insegnante era un notabile della vita dei paesi che erano il nerbo della vita sociale italiana ed era chiamato professore. Insieme al medico e all’avvocato rivestiva il ruolo di una provinciale nobiltà di toga rispettata quanto quella di spada, rappresentata dal militare di carriera. Quando è iniziata la sua decadenza sociale? Dopo la seconda guerra mondiale, con il crollo dell’ultimo tentativo della civiltà militare di restaurare il proprio dominio sulla società, tentativo finito in una catastrofe apocalittica e in una mostruosa riproposizione del sacrificio umano tribale in una forma particolarmente cruenta e di massa.

Insieme al maresciallo, l’insegnante ha fatto una misera fine e oggi occupa un gradino più basso rispetto al medico e all’avvocato. Il suo mestiere lo isola dagli altri adulti e lo pone a contatto con un’orda di giovani individui carichi di ormoni e poveri di rispetto, condannandolo a un’eterna convivenza infantilizzante con ragazzoni e ragazzone che non riescono a tributargli l’antico timore gerarchico e al contempo non possono certo concedergli la magia di riaccoglierlo nella loro fatata giovinezza. A questo aggiungiamo uno stipendio insufficiente e un mestiere che rischia facilmente di essere ripetitivo e rutinario e il quadro del burn-out già si presenta davanti a noi.

Insieme al maresciallo, l’insegnante ha fatto una misera fine e oggi occupa un gradino più basso rispetto al medico e all’avvocato

Il burnout (dall’inglese “bruciato”) è una condizione di stress e logorio lavorativo protratto e intenso che determina perdita di interesse nella propria professione, svuotamento interiore e inefficenza nell’attività lavorativa. Colpisce frequentemente gli insegnanti, come dimostra una ricerca del 2002 condotta di Lodolo D’Oria e i suoi collaboratori per il Comune di Milano nel 1992/2001 che ha mostrato che, su oltre 3000 persone, le più colpite sono gli insegnanti.

Beninteso, il rischio non dipende solo dalla condizione esterna. Predispone l’individuo anche il suo carattere: l’eccessiva dedizione al sacrificio, il bisogno di affermazione attraverso il lavoro a discapito della vita privata, gli eterni e onnipresenti problemi familiari o relazionali e infine, quasi tautologicamente, la scarsa tolleranza dello stress.

Ma non dimentichiamo le mancanze organizzative: concorrono anche le classi numerose, la carenza di attrezzature, le eccessive pratiche burocratiche, la carenza di occasioni di aggiornamento, la limitata possibilità di carriera, la retribuzione insoddisfacente, e infine la precarietà. Proteggono invece l’appartenenza al sesso femminile, l’anzianità, il supporto dei colleghi e il riconoscimento del proprio lavoro da parte di superiori e utenti e anche di se stessi.

E non ci si consoli pensando che i tatti di una condizione relativamente semplice da studiare e sulla quale c’è già pieno accordo scientifico. Al contrario, la teoria clinica dice che esiste più di un burnout. Anzi, ce ne sono almeno tre. Il primo tipo di burnout colpisce chi lavora freneticamente per il successo fino all’esaurimento ed è quello di chi affronta lo stress lamentandosi della gerarchia organizzativa sul lavoro, con la sensazione che questa rappresenti un limite ai propri obiettivi e alle proprie ambizioni. Il secondo tipo di burnout nasce dalla noia e dalla mancanza di sviluppo personale ed è più strettamente associato a una strategia di evitamento. Questi lavoratori poco esigenti tendono a gestire lo stress prendendo sempre più le distanze dal lavoro fino ad approdare a un senso di spersonalizzazione e di cinismo. Infine l’ultimo tipo di burnout è il sottotipo esausto e sembra derivare da una strategia basata sulla rinuncia di fronte allo stress: anche se queste persone desiderano raggiungere un certo obiettivo, non riescono a trovare la motivazione necessaria a superare gli ostacoli per raggiungerlo.

L’aiuto migliore che una persona in stato di burnout può attendersi sono le cure psicologiche. Terapie di ristrutturazione cognitiva sono benvenute, con la loro focalizzazione sui pensieri più deprimenti. L’insegnante affetto da burnout tipicamente pensa che lo studente è ingrato e insensibile agli per aiutarlo; non basta, pensa anche di essere abbandonato dall’istituzione, di non avere riconoscimento per i suoi sforzi, e

Questo atteggiamento porta l’insegnante a sentirsi inutile e determina risposte aggressive che si alternano a disperazione e inutilità. L’obiettivo del trattamento cognitivo comportamentale è cambiare questo modo di pensare per ridurre l’intensità delle emozioni negative e creare un clima sereno e produttivo all’interno dell’ambiente lavorativo.

La meditazione è una pratica ampiamente usata per contrastare gli effetti di pensieri ed emozioni frustranti. Si raccomanda un tipo particolare di meditazione, la mindfulness, tecnica meditativa che si fonda sulla presa di coscienza (consapevolezza) delle sensazioni presenti che vengono accettate, senza giudizio, senza valutazioni, nel loro naturale fluire. Si impara a vivere nel presente, senza colpevolizzarsi per il passato né temendo il futuro, con benefici su molti disturbi emotivi e fisici, (Gilbert, 2005).

Per migliorare i rapporti con colleghi, superiori e allievi a scuola, è utile apprendere tecniche di assertività, abilità che serve a contrastare la tendenza alla passività che la deriva cinica e aggressività, apprendendo a rispondere a richieste eccessive con chiarezza, calma e salvaguardando il rapporto di fiducia con l’utenza e l’immagine lavorativa. La collaborazione con i colleghi è fondamentale per sfogare le proprie frustrazioni e preoccupazioni e diminuire il peso delle responsabilità. A questo fine il supporto dato da gruppi di sostegno con altre persone che vivono la stessa condizione di logoramento e la vicinanza dei familiari, evitano il sovraccarico di ansie e tiene lontani da comportamenti dannosi per sé e gli altri.

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