Qual è il più grande nemico odierno dell’artigiano? Il robot, risponde qualcuno senza mezzi termini. La dannata automazione che brucia posti di lavoro e standardizza la produzione, priva i distretti di quella conoscenza – intesa come “saper fare”. Distrugge il “tocco e la sensibilità” di un contemporaneo Geppetto, che era in grado di dare vita al ciocco di legno. E che era la punta di diamante di una certo modello economico “rustico” oggi in crisi.
Ma ne siamo così convinti? Perché “New Craft” – la mostra a cura del docente e saggista Stefano Micelli in scena alla Fabbrica del Vapore di Milano – invita a riflettere proprio su questi temi, a mettere da parte la nostalgia: l’incontro virtuoso fra artigianato e innovazione tecnologica.
“New Craft” in mostra alla Fabbrica del Vapore di Milano: come artigiani e robot si salveranno solo lavorando insieme
Al piano terra la mostra e il silenzio mentre ai piani alti si ascoltano convegni e parole. E non è un caso che si svolgano proprio nel luogo considerato il massimo esempio milanese di “riconversione”: la Fabbrica del Vapore. Una vicenda industriale che è passata a grandi balzi dalla Carminati&Toselli – impresa che si occupava di pezzi di ricambio per ferrovie – a spazio polivalente per eccellenza del capoluogo lombardo, un avamposto culturale e d’intrattenimento della città. In due parole: archeologia industriale.
Non è un caso che si svolga qui perché quando si ascoltano i timori di chi vede nei robot e nell’automazione una sorta di post moderna apocalisse, bisognerebbe ricordarsi di come questi discorsi siano già stati fatti per le fabbriche – che invece, come abbiamo visto, possono trovare nuova linfa e nuova vita in una loro “ri-attualizzazione”.
Come nuova linfa la possono trovare gli artigiani, i custodi della “manualità”, semplicemente ri-attualizzandosi a loro volta. Utilizzando il digitale come strumento di evoluzione ed emancipazione del proprio mestiere.
E quindi cosa rispondere alla domanda “avremo un’ economia senza manifattura?”. Semplicemente: impossibile. Ne è convinto Paolo Manfredi che viene proprio da Confartigianato e coglie l’occasione per presentare un estratto del suo libro in uscita il 20 maggio. Chi ha creduto che il futuro fosse solo servizi e terziario avanzato ha vissuto all’interno di una grande bolla – che a tratti è parsa anche una grande sbornia. «Una suggestione» al massimo la definisce Manfredi e «abbiamo scoperto troppo tardi che non era affatto così».
«Abbiamo creduto a un’economia di soli servizi e terziario avanzato senza manifattura. Ci siamo sbagliati. Non commettiamo lo stesso errore con l’automazione»
Certo, ci saranno lavori aggrediti e non soltanto nella manifattura – basti pensare che pochi anni fa, a San Francisco, un computer ha scritto un perfetto articolo di cronaca registrando in tempo reale una scossa di terremoto a largo delle coste californiane. E lo ha mandato in stampa in un quarto d’ora. Roba da far impazzire qualunque editore e direttore responsabile, abituati alle continue richieste di giornalisti e redattori. Ma bisogna ricordarsi di un assunto: «Anche i robot vanno in pensione». Non sappiamo se gli androidi ricevano assegni pensionistici sotto forma di scariche elettriche – si potrebbe ironizzare parafrasando Philip K. Dick – ma di certo anche loro hanno bisogni della previdenza, di corsi di formazione, di essere aggiornati, quando non sostituiti. Ce lo ricorda il professo Stefano Maffei del Dipartimento di Design del Politecnico: «C’è un mondo della tecnologia che opera e produce nel mondo umano» e, inutile negarlo, da quel mondo umano è condizionato.
Per Maffei il futuro si prospetta molto più roseo di quanto possa sembrare: «Verrà meno la guerra senza frontiere fra industria e artigiano, fra pezzi prodotti in serie e pezzi unici». Avremo un’industria semplificata e un artigianato aumentato, dei fabbricatori “freelance” che svilupperanno progetti – prima ancora che oggetti – e diventeranno micro-produttori. L’approccio “carbon footprint reduction” che sta prendendo piede poco alla volta non farà che accelerare questo processo, instillando una nuova cultura della sostenibilità e della filiera corta. E proprio la filiera corta sembra essere una delle ragioni che porterà “la città” ad essere il principale il luogo fisico dove si costruiranno le nuove economie produttive (e manifatturiere). Saranno le metropoli ma anche gli agglomerati urbani non necessariamente mastodontici.
Le città saranno il luogo delle nuove economie produttive. Hanno tutto per esserlo: possibilità relazionali, la concentrazione di competenze, i capitali e i luoghi fisici come i laboratori condivisi. Basta guardare la mappa di Milano per vedere che questa è una realtà già in atto
Hanno tutto per riuscire in questa impresa: la possibilità relazionale, la concentrazione di competenze spesso legata al mondo della formazione tecnica in dialogo con l’accademia, i capitali e la prossimità fisica. E basta guardare la mappa di Milano, che mostra laboratori condivisi e spazi di co-working, messa insieme ad alcune studentesse PhD dell’Università Biccoca, per capire che stiamo già parlando di una realtà in atto.
L’unico errore da non commettere è quello di cadere in ottimismi esaltanti. L’altra faccia della medaglia degli “apocalittici”. E ci pensa Manfredi a riportare tutti con i piedi per terra: «Non immaginatevi un’altra economia parallela o addirittura sostitutiva». Non commettiamo lo stesso errore – ci avverte – di chi ha creduto che il mondo potesse essere solo servizi, new app economy. Questi sono processi in integrazione non di sostituzione. «Non voglio sentir parlare di modelli economici alternativi basati solo sull’autoproduzione o sulla sharing economy. Perché alla fine arriva sempre la realtà a presentare il conto»