La carica delle Pmi italiane, Baban: «Sono le vere fabbriche d’Europa»

Intervista al vicepresidente di Confindustria e attuale presidente dei piccoli industriali: «Siamo pronti a cavalcare la rivoluzione digitale»

Le Pmi italiane hanno bisogno di una scossa, ma in quale direzione? E con quali soluzioni? Linkiesta ha intervistato Alberto Baban, Presidente di Piccola Industria di Confindustria e tra i prossimi vicepresidenti di Viale dell’Astronomia.

Partiamo da casa sua. È stato confermato alla guida della Piccola Industria di viale dell’Astronomia ed è quindi anche componente di diritto della prossima squadra dei vicepresidenti di Confindustria. Quali sono i principali piani e programmi del suo secondo biennio rivolti alla piccola e media impresa italiana?

Sicuramente continueremo a lavorare per rafforzare il sistema produttivo italiano e fargli ottenere quel riconoscimento che merita in termini di attenzione da parte del mercato e delle istituzioni. Secondo l’ultima ricerca del Centro Studi Confindustria presentata a Parma, l’imprenditore è percepito come una figura complessivamente positiva; l’opinione pubblica ne riconosce il coraggio e l’impegno e quando si introduce il concetto di territorio l’apprezzamento cresce. In particolare lo sviluppo locale – cito l’indagine di Pagnoncelli – è vissuto come il punto nevralgico per la risalita economica dell’Italia e all’imprenditore viene attribuito quasi il compito di riscattarci dalla crisi.

Ebbene, noi crediamo che questo patrimonio di credibilità guadagnato sul campo attraverso il lavoro non vada disperso, ma valorizzato al massimo: ci sono tanti “grandi imprenditori” di piccole imprese che meritano di essere portati come esempio nel mondo. Gli italiani mettono al primo posto la credibilità delle Pmi ancora prima di quello delle Istituzioni (tutte incluse) e come è stato detto al Biennale di Parma, “la fiducia è una cosa seria”.

Il nostro compito, al di là di continuare a sostenere l’introduzione di soluzioni a supporto del rafforzamento delle Pmi, sarà dimostrare che, nonostante i vincoli di sistema che ben conosciamo, una piccola impresa può crescere diventando una media impresa e, allo stesso modo, una media impresa può diventare grande. Ad una condizione, però: quella di usare gli strumenti esistenti, da quelli fiscali a supporto degli investimenti e dell’innovazione alle soluzioni per internazionalizzarsi, per aprire il capitale e migliorare la propria attrattività agli occhi degli investitori esterni.

Di recente l’agenzia di rating internazionale Moody’s ha pubblicato un rapporto sullo stato delle Pmi italiane, definendole le più deboli d’Europa. Tra i problemi principali Moody’s evidenzia soprattutto due fattori: l’alto tasso di mortalità delle imprese e la forte presenza di crediti deteriorati e sofferenze, che con tassi piùalti rispetto a quelli delle imprese medio-grandi non accenna a diminuire. Un giudizio ingeneroso oppure Moody’s solleva criticità condivisibili?

E’ un giudizio statisticamente corretto anche se non restituisce una fotografia reale dello stato di salute delle Pmi ma piuttosto un dato tendenziale. Le Pmi Italiane, lo dico con convinzione, sono le aziende più promettenti d’Europa inserite in un contesto complesso che ne limita fortemente il potenziale.

Comunque è innegabile, sono le imprese più piccole ad affrontare i maggiori problemi legati alle sofferenze e ai crediti deteriorati. Ciò indebolisce ulteriormente la loro capacità di accesso al credito bancario, che resta ancora la forma di approvvigionamento privilegiata nella maggioranza dei casi. La stessa indagine, però, riporta anche segnali di miglioramento. Mi riferisco in particolare alla riduzione delle nuove sofferenze, soprattutto per le imprese più piccole, sceso dal 3,9% del 2014 al 3,6% del 2015. Nel valutare lo stato di salute delle imprese italiane, credo sia opportuno considerare – se non altro per completezza d’analisi – quante reagiscono o crescono e quante, nonostante i vincoli di Sistema e i cambiamenti imposti dalla globalizzazione, riescono ad eccellere nel mondo.

A livello nazionale per esempio, le nostre Pmi creano il 67,3% del valore aggiunto totale dell’economia, il più alto tra tutti i Paesi presi in esame dall’indagine di Moody’s. La loro capacità competitiva mi sembra pertanto fuori discussione e inoltre non dobbiamo dimenticare che dietro le tremila grandi imprese presenti in Italia esiste una filiera di subfornitori di grande eccellenza. Diversamente non si spiegherebbe il fatto che l’Italia, ancora oggi e dopo otto anni di crisi, resta il secondo paese manifatturiero europeo e che, il Programma Nazionale della Ricerca appena approvato conferma, ancora una volta, che le Pmi italiane sono tra le più innovative d’Europa.

Le Pmi Italiane, lo dico con convinzione, sono le aziende più promettenti d’Europa inserite in un contesto complesso che ne limita fortemente il potenziale


Alberto Baban

In parte, il destino delle Pmi dipende anche dagli eventuali stimoli che il Governo riuscirà a mettere in campo nei prossimi mesi. Se nel Def 2016 ben poco spazio èdedicato a questo tema, il ministro dell’economia Padoan è tornato però a parlare, in occasione del Salone del Risparmio, della necessità di strumenti per le famiglie e le imprese. Inoltre, alcune fonti di palazzo Chigi parlano di un possibile piano per introdurre un regime fiscale agevolato per incentivare i risparmiatori a investire in strumenti finanziari a sostegno delle Pmi, con un’aliquota che dovrebbe essere inferiore al 12,5% applicato sui titoli di Stato. Insomma, se le intenzioni sembrano positive, ancora non si è deciso che rotta intraprendere. Cosa dovrebbe fare lo Stato per rilanciare il sistema delle Pmi?

A parte semplificare il fare impresa e dare concreta attuazione alle riforme messe in campo, sarà importante proseguire con l’introduzione di misure per migliorare le capacità competitive delle Pmi. Molto positive, ad esempio, le soluzioni introdotte di recente a sostegno degli investimenti, come il superammortamento e la Nuova Sabatini; significative anche quelle a supporto dell’innovazione. Per quanto riguarda l’internazionalizzazione, il voucher per gli export manager ha avuto un grande successo tra le Pmi.

Positivo l’annuncio di introdurre un regime fiscale agevolato per incentivare gli investitori retail e soprattutto quelli istituzionali – come i fondi pensione e le assicurazioni – a investire in strumenti finanziari a sostegno delle Pmi.

Tuttavia occorre muoversi con coerenza e chiarezza: sono recenti, infatti, alcuni primi interventi in materia che ancora non hanno trovato riscontro concreto da parte del mercato. Si è consentito, ad esempio, alle compagnie di assicurazione di concedere credito alle imprese e di investire fino al 6% delle riserve tecniche in minibond, cambiali finanziarie e titoli similari, ma occorrerebbe intervenire anche sulla leva fiscale. In relazione ai fondi pensione si è alzata, dall’11 al 20%, la tassazione sui rendimenti finanziari e, per compensarne l’aumento, è stato previsto un credito di imposta al 9% dei rendimenti finanziari a condizione che un ammontare corrispondente a tali rendimenti fosse investito in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine. Ma questo credito di imposta è rimasto totalmente inapplicato a causa di forti incertezze interpretative e applicative. La conseguenza è che il mercato, su entrambi i fronti, ancora non si è mosso.

Politici e stakeholder non fanno che ripetere l’importanza dell’innovazione e dell’innalzamento ulteriore della frontiera tecnologica per recuperare competitività, in particolare rispetto ai nostri principali competitor. Eppure su importanti programmi in questo campo come “Manifattura Italia” e “Industria 4.0” (proprio su “Industry 4.0” l’Unione europea ha appena dedicato un piano da 50 miliardi di euro, tra risorse pubbliche e private, e che vede l’Ue paurosamente in vantaggio) l’Italia sembra essere ancora al palo. Confindustria intende suonare la carica? Non è giunto il momento di battere i pugni sul tavolo?

Sì, con il nostro stile, quello Confindustriale costruendo proposte e condividendole nei tavoli preposti. Gli imprenditori sono abituati “al fare”, nonostante in Italia vi sia una tendenza crescente, un’assuefazione, nel denunciare le inefficienze senza proporre soluzioni. Come ricordato prima, sono state già introdotte molte soluzioni, anche migliorabili, per aumentare gli investimenti in innovazione. In relazione a Industria 4.0 Confindustria ha appena definito un pacchetto di soluzioni a supporto della trasformazione digitale delle imprese e del Paese.

Le Pmi giocheranno un ruolo importante in questa partita, soprattutto se comprenderanno rapidamente che la “contaminazione” con il digitale è il prerequisito per cavalcare la quarta rivoluzione industriale. Una rivoluzione che è già in corso e che ha già cambiato il modo di produrre rendendolo sempre più customer oriented.

Da sole, tuttavia, le imprese non possono fare tutto. La contaminazione digitale potrebbe essere accelerata favorendo l’ingresso temporaneo in azienda degli “esperti digitali”, digital enablers, in grado di stimolare le Pmi su terreni nuovi, addirittura ignoti o ancora creando dei Digital Innovation Hub, cioè poli intersettoriali, orientati all’impresa e condotti in partnership pubblico-privata, nei quali le aziende possano sperimentare tecnologie digitali, sviluppando anche nuove soluzioni e modelli di business. Sono alcune delle proposte che faremo presto al Governo nella presentazione della nostra idea per la trasformazione Digitale del Paese.

Gli imprenditori sono abituati “al fare”, nonostante in Italia vi sia una tendenza crescente, un’assuefazione, nel denunciare le inefficienze senza proporre soluzioni

Uno dei problemi del nostro sistema imprenditoriale, come evidenzia anche il rapporto Moody’s, è la difficoltà di accesso al credito. Negli ultimi anni si è fatta strada l’idea che si possa far fronte all’esigenza del finanziamento d’impresa attraverso strumenti alternativi per raccogliere capitale, come ad esempio la quotazione in borsa in segmenti dedicati alle Pmi. Ancora di recente, attraverso il Programma Elite di Borsa Italiana sono sbarcate a Piazza Affari 30 piccole e medie imprese. La strada della quotazione può rappresentare la nuova frontiera verso la ricerca dell’ossigeno del capitale per le Pmi? Non si corre il rischio di creare una nuova “bolla” finanziaria e speculativa?

A nostro avviso non c’è alcun rischio. Stiamo parlando infatti di scommettere sull’economia reale, ovvero su imprese di alta qualità caratterizzate da un forte radicamento con il territorio. Occorre far conoscere le loro potenzialità a un’ampia platea di investitori. Per questo crediamo molto nel “Programma Elite”, un progetto che come Piccola Industria abbiamo fortemente voluto e al quale abbiamo lavorato fin dalla sua ideazione e che oggi conta più di 380 aziende iscritte. Dopo una preliminare analisi delle proprie potenzialità e avvalendosi di un network internazionale di aziende, advisor e investitori, si individua lo strumento di crescita più adeguato al proprio caso: quotazione, ingresso di un fondo di private equity, emissione di minibond o, ancora, avvio di un processo di internazionalizzazione.

Il programma Elite di fatto accompagna nel percorso di crescita le imprese che hanno già compreso l’importanza di evolvere, offrendo loro una vetrina internazionale di alto profilo. E proprio perché siamo convinti dell’efficacia del progetto stiamo lavorando per dare analoga visibilità anche alle Pmi innovative.

Le Pmi Italiane sono la vera fabbrica dell’Europa e credere nel loro sviluppo è il primo passo per creare valore e lavoro nel nostro Paese e costruire, citando Papa Francesco, “un nuovo Umanesimo del Lavoro”. E’ arrivato il momento di scegliere per il nostro futuro e di restituire una speranza alle prossime generazioni. Il nuovo Rinascimento è l’Impresa.

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