Siamo tutti un po’ mitomani, e forse un po’ tanto, a partire da quel gruppo di scimmie pazze che decisero di scendere dagli alberi per inventarsi un futuro non dettato dell’istinto. Immaginare vite fantastiche, convincersi di essere in amicizia con il principe di Galles trascorrendo con lui il pomeriggio al Jockey prima di passare a trovare le vecchie zie alla sera, pensare di essere Anastasia la discendente dello zar di Russia sopravvissuta all’eccidio, inventarsi continuamente storie di cui il raccontatore stesso s’innamora in buona fede e ci crede, dando un colore al grigiore dei giorni di questa nostra vita, illudersi e illudere. Tutto questo è patologia dell’anima, ma è anche un bisogno umano, quello di raccontarsi storie con cui non solo intrattenersi. Vogliamo crederci.
La mitomania, o pseudologia fantastica, è un fenomeno estremo che fa parte più della bizzarra psichiatria ottocentesca – col suo sapore da gabinetto del prof. Caligari – che dei giorni nostri. Oggi siamo tutti più disincantati e perfino coloro che non hanno tutte le rotelle a posto sono più prosastici e meno sbalorditivi nelle loro manifestazioni. Ecco che quindi al posto del mitomane abbiamo il più banale narcisista. Anche il narcisista contemporaneo vive in un mondo fantastico. Ha un senso grandioso della propria importanza, è assorbito da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza illimitati, o di amore ideale, crede di essere speciale e unico e di poter essere capito solo da altre persone altrettanto speciali. Però, rispetto al mitomane del passato, mantiene un contatto con la realtà e, soprattutto, usa le sue fantasie di grandezza in maniera più chiaramente interessata rispetto al mitomane.
Anche il narcisista contemporaneo vive in un mondo fantastico. Ha un senso grandioso della propria importanza, è assorbito da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza illimitati, o di amore ideale, crede di essere speciale e unico e di poter essere capito solo da altre persone altrettanto speciali. Però, rispetto al mitomane del passato, mantiene un contatto con la realtà
L’obiettivo di rafforzare – raccontando balle – l’opinione che di lui hanno gli altri è perseguito dal narcisista con molta minore ingenuità rispetto al mitomane, mantenendo una credibilità sociale e procedendo più per allusioni e ammiccamenti che per racconti fantastici. Il racconto può esserci, intendiamoci, e in questo i narcisisti non hanno nulla da invidiare ai mitomani; ma il narcisista dei giorni nostri ha una pelle spessa che il mitomane dell’ottocento può solo sognare. Il racconto narcisista non è ingenuo e persegue l’obiettivo di convincere gli altri prima ancora che se stessi. Vi è un desiderio di sfruttamento degli altri e una sensazione che tutto sia dovuto nelle fantasie di grandezza del narcisista che nel mitomane scompare.
Il mitomane invece sembra davvero un individuo capace di vivere (troppo!) nelle sue storie, nelle sue fantasie con un’ingenuità e una semplicità nelle quali il fine di impressionare e – ancor meno – sfruttare gli altri svanisce, o almeno arretra nello sfondo. A volte il narcisista si nasconde, ma nemmeno questo rimpicciolirsi lo redime. Nemmeno in questa condizione riesce a liberarsi di questa sua pulsione a paragonarsi agli altri e a immaginarsi sovrano dell’universo e dittatore della vita sociale. È ancora una volta qualcosa di più di quella che poteva essere l’innocente sindrome di Walter Mitty, il personaggio inventato da James Thurber nel 1939 sulle pagine del New Yorker.
Il mitomane invece sembra davvero un individuo capace di vivere (troppo!) nelle sue storie, nelle sue fantasie con un’ingenuità e una semplicità nelle quali il fine di impressionare e – ancor meno – sfruttare gli altri svanisce, o almeno arretra nello sfondo. A volte il narcisista si nasconde, ma nemmeno questo rimpicciolirsi lo redime
Mitty è un uomo qualunque, la cui irrefrenabile immaginazione lo porta attraverso scenari eroici a fare della sua vita qualcosa di eccezionale, degna di essere raccontata. Mitty sceglieva di sognare con l’obiettivo (per nulla segreto) di non uscire mai dalle proprie fantasticherie. Mitty aveva una sua ingenuità letteraria che però nella vita reale svanisce. Come scrive lo psicologo Lowen, nella realtà i sognatori coltivano un rabbioso senso di rivalsa che, trattenuta, rende loro un’ingannevole umanità. Scrive Lowen: «Qualcosa dei suoi modi m’indusse ad indagare sull’immagine che aveva di se stesso. Gli chiesi di descriversi e Richard disse: ‘Mi sento forte, energico, in gamba. Mi sento più intelligente e più preparato degli altri, e tutti lo dovrebbero riconoscere. Ma mi tiro indietro. Sono nato per essere in prima fila: sono nato re, superiore a tutti gli altri».
Forse è ingenuo ritenere che il mitomane ottocentesco, il millantatore affetto da pseudologia fantastica o il Mitty di prima della guerra mondiale non nutrissero a loro volta questi stati d’animo di rivalsa rabbiosa, non fossero una persona innamorata soprattutto delle sue storie ma, più squallidamente, nutrissero soprattutto l’obiettivo di vincere nella lotta sociale che ci fa tanto feroci. Forse ci piace troppo pensare che solo la nostra epoca sia affetta da una completa perdita della capacità di sognare gratuitamente, mentre in passato questo era ancora possibile. Forse questa è l’unica ingenuità che ci è concessa, la nostra moderna mitomania, la convinzione di essere l’unica età in cui sognare sia difficile.