La prima delle Prediche Inutili scritte da Luigi Einaudi, intitolata Conoscere per deliberare, è ancora di grande attualità. Recita così: «Giova deliberare senza conoscere? Al deliberare deve, invero, seguire l’azione. Si delibera se si sa di poter attuare; non ci si decide per ostentazione velleitaria infeconda. Ma alla deliberazione immatura nulla segue. Si è fatto il conto delle leggi rimaste lettera vana, perché al primo tentare di attuarle sorgono difficoltà che si dovevano prevedere, che erano state previste, ma le critiche erano state tenute in non cale, quasi i contraddittori parlassero per partito preso? Le leggi frettolose partoriscono nuove leggi intese ad emendare, a perfezionare; ma le nuove, essendo dettate dall’urgenza di rimediare a difetti propri di quelle male studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi, e fa d’uopo perfezionarle ancora, sicché ben presto il tutto diviene un groviglio inestricabile, da cui nessuno cava più i piedi; e si è costretti a scegliere la via di minore resistenza, che è di non far niente e frattanto tenere adunanze e scrivere rapporti e tirare stipendi in uffici occupatissimi a pestar l’acqua nel mortaio».
L’analisi del presidente vignaiolo metteva sul tavolo una questione, tuttora molto attuale, che non tocca solo il modus operandi della classe politica ampiamente intesa, ma si ascrive più in generale all’agire individuale nei più diversi contesti.
In un felice commento al pensiero einaudiano, Enrico Giovannini, dal 2009 al 2013 presidente dell’Istat, evidenzia con forza come l’informazione approfondita si trasformi in conoscenza, unica via che conduce a decisioni più ragionevoli. Da qui l’importanza dell’approfondimento.
Giovannini ricorda giustamente anche Bacone. Il filosofo, precursore dei più moderni studi sul cervello che dimostrano come la mente sia incapace di analizzare tutte le informazioni utili per compiere correttamente le scelte necessarie, scrisse che l’uomo, una volta formatosi un’opinione, usa tutti gli strumenti in suo possesso per sostenerla, nonostante le tante evidenze contrarie.
Il pensiero va agli uomini di dottrina criticati da Einaudi, che prima ancora di studiare e prepararsi, già sanno cosa dire.
Nell’osservazione delle dinamiche negoziali si evidenzia in maniera prepotente il ruolo dell’informazione e della sua malsana “fissità”. Cosa si intende con il concetto di “fissità informativa”? Spieghiamolo.
Le persone escono dal dialogo negoziale con un assetto informativo pressoché inalterato, fondato sulla mera ricerca di conferme delle proprie opinioni, su processi di euristica che, se validi come scorciatoie adottate dalla nostra mente per risolvere problemi e per risparmiare energia, si traducono in gabbie mentali che limitano e offuscano ogni prospettiva di orizzonti cognitivi alternativi.
Senza informazione non c’è possibilità di approfondire la conoscenza: l’informazione richiede indagine, studio, verifica, abbandono di certezze granitiche, mente aperta.
Invece, le persone frequentemente non scambiano informazioni a causa di un mix di diffidenza, presunzione e supponenza, non abbandonano le loro prospettive – ma neppure accettano quelle degli altri – , non fanno domande, non dubitano, non verificano e non ascoltano.
Il dato positivo però c’è: possiamo invertire questo comportamento, perché è frutto di una nostra scelta.
Non si può arrivare a sapere tutto di tutto, o ad approfondire ogni cosa; tuttavia le opportunità negoziali nascono dalla conoscenza di noi stessi, neppure scontata, e soprattutto dalla conoscenza degli altri.
Solo attivando le nostre capacità di fare domande, di ascoltare, di dubitare e superare visioni stereotipate daremo un contributo costruttivo a relazioni fondate su conoscenza e consapevolezza e forse solo così smetteremo di pestare acqua nel mortaio.