Addio, banane. Uno dei frutti più diffusi, amati e consumati nel mondo rischia l’estinzione. Almeno per quanto riguarda la qualità Cavendish, che è quella più diffusa e comprende il 99% dei Paesi sviluppati. Colpa di due agenti patogeni che colpiscono i raccolti e devastano le piantagioni.
Il primo si chiama Black sigatoka e colpisce le radici degli alberi, uccide le cellule e costringe la pianta a ridurre la quantità di banane prodotte, oltre che la qualità. Solo questo può diminuire la produzione di banane del 50 per cento. È un allarme, ma non è l’unico.
Il secondo è un fungo, il Tropical race 4 (TR4) è ancora più pericoloso. È responsabile della famigerata “malattia di Panama”. È stato individuato per la prima volta nel 1990 a Taiwan. Da quel momento sembrava che il suo raggio d’azione fosse limitato all’Asia e al nord dell’Australia. Ma dal 2013 è stato avvistato anche in Giordania e in Africa. E poi nei Caraibi e in America Latina. Insomma, è in tutto il mondo.
Il problema è che non può essere combattuto con i funghicidi, né hanno efficacia i vari fumiganti. Riesce a sopravvivere nel suolo per decenni e questa è una delle sue armi più forti. La Fao, non riuscendo a combatterlo, ha chiesto a tutti i Paesi che producono banane di contribuire al monitoraggio e al controllo della sua diffusione. Ma non è semplice.
Esiste però un precedente. Nel 1960 la banana Gros Michel (un altro tipo) era stata decimata da un virus. Era il tipo più diffuso, all’epoca, e venne sostituita dalla Cavendish, che si infilò nelle nicchie di mercato rimaste libere. Fu un grande cambiamento, per l’epoca: le Gros Michel erano più cremose e più dolci, mentre le Cavendish si dimostrarono più adattabili, ma meno saporite. Fu una scelta di opportunità che ora, dopo 50 anni, rischia di essere modificata. Chissà, magari arriverà un’altra qualità a prendere il posto di quella che ora è sotto minaccia. Come vuole, del resto, il grande ciclo della vita.