Il crollo della sterlina è un messaggio in codice al governo britannico: la City si è rotta le scatole

La sterlina è già calata del 14% da giugno e si prevede che l'anno prossimo sarà scambiata alla pari con l'euro. E per ora la politica non sa ancora come reagire

Il 2 ottobre, nel suo discorso di apertura del Congresso dei Partito conservatore a Birmingham, Theresa May annuncia che l’articolo 50 del Trattato di Lisbona verrà attivato entro Marzo 2017. Brexit means Brexit. E il Regno Unito ne uscirà più forte di prima: una potenza globale con al centro gli interessi della working class, senza i limiti imposti dall’Europa.

Il 4 ottobre, il Ministro degli Interni Amber Rudd annuncia l’intenzione del governo di censire, diciamo così, i lavoratori stranieri: prima i britannici, è il messaggio.

Il 5 ottobre, la May presenta la sua visione politica e culturale per la Gran Bretagna dopo Brexit. Una rivoluzione quieta, che mette al centro la working class, quelli rimasti indietro, i milioni in cerca di sicurezza economica, quelli che si sentono traditi dalla globalizzazione.

Verso la fine di un discorso intriso di retorica social-populista, parte l’affondo verso le elite capitaliste: «Oggi, troppe persone in posizioni di potere si comportano come se avessero più cose in comune con le elite internazionali che con la gente comune, i loro impiegati, i passanti. Ma chi pensa di essere un cittadino del mondo è un cittadino di nessun luogo. Non può il senso profondo della parola “cittadinanza”. E quindi, ai manager che guadagnano una fortuna ma non si preoccupano dei loro collaboratori. Alle multinazionali che trattano gli obblighi fiscali come degli optional. Al direttore che intasca enormi dividendi pur sapendo che le pensioni aziendali stanno per saltare. Vi avverto. Non potete continuare così».

All’apertura dei mercati asiatici, fra il 6 e il 7 ottobre, il valore del pound inglese precipita di 6 punti percentuali in 2 minuti, a 1,1491 nei confronti del dollaro, il livello più basso dal 1985. Poi recupera fino a quota 1,246, ma la perdita settimanale raggiunge il 4%.

È un flash crash, un fenomeno raro. Dovuto a cosa? Un fat finger, cioè un trader che ha spinto l’ok per un grosso ordine di vendita per errore? Algoritmo di trading integrati con siti di notizie, che hanno reagito negativamente alle prospettive di hard Brexit, venduto massicciamente e poi scatenato una reazione a catena? Indaga la Banca d’Inghilterra.

In ogni caso, il recupero è temporaneo. Il 13 ottobre ecco il record: la sterlina precipita al livello del 1848, l’11mo anno di regno della Regina Vittoria. Una volatilità monetaria da paese emergente. Dal giorno dopo il voto, la perdita è già del 14%.

Quali sono le ragioni del crollo persistente di una valuta sempre soggetta ad oscillazioni ma considerata complessivamente stabile? E c’è una continuità fra il flash crash e un andamento negativo ormai di mesi?

Il mercato del Foreign Exchange sta manifestando una sconcertante somiglianza con le 5 fasi del lutto. All’inizio, negazione, con la diffusione di teorie sulla possibilità di un secondo referendum. Poi rabbia: il voto è ingiusto. Terza fase, negoziazione: forse non è poi così male. Ma adesso siamo alla depressione.


David Bloom

Una spiegazione la offre il Financial Times. Attenzione: su Brexit e le sue conseguenze il quotidiano della City, pur restando una miniera di informazioni di altissima qualità, non può essere considerato imparziale. Già nelle ultime settimane prima del voto si era dichiarato apertamente anti-Brexit e da allora ha pubblicato analisi e commenti sempre estremamente critici delle scelte del governo. Ma è anche il quotidiano più informato sugli umori e le dinamiche del mondo finanziario, ed è una fonte preziosa per capirne gli orientamenti. Per questo, è particolarmente importante l’intervista a David Bloom. Global Head of FX Strategy at HSBC.

Alla giornalista che, di fronte al grafico dell’andamento del pound, gli chiede il perché del crollo, Bloom risponde: «Prima avevamo i bond vigilantes. Un collettivo che puniva i governi occidentali alzando il rendimento delle obbligazioni quando non era d’accordo con certe scelte politiche. Questo aiutava a tenere sotto controllo le ambizioni fiscali dei governi. Ma il Quantitative easing ha ucciso il meccanismo. Ora a reagire sono quelli che chiamiamo “FX vigilantes”, i vigilanti del mercato valutario. Al FX nel suo complesso non piace qualcosa e vendono. Questo ha un impatto sui politici, che riconsiderano certe decisioni.La sterlina è sempre stata una valuta relativamente semplice, una cyclical currency, che reagiva ad eventi e dati, con un valore realistico fra 1.55 e 1.65. Ma ora è una valuta politica e strutturale, la valuta di un paese con deficit commerciale e fiscale fra i maggiori al mondo. Al Foreign Exchange non sono piaciuti i recenti annunci del governo e ha venduto. La valuta è, al momento, l’opposizione officiale de facto alle politiche governative».

Bloom prevede che la sterlina scenderà 1.20 sul dollaro per la fine dell’anno e si assesterà su 1.10 nel 2017, quando raggiungerà la parità sull’euro. E spiega il perché con una metafora psicologica: «Il mercato del Foreign Exchange sta manifestando una sconcertante somiglianza con le 5 fasi del lutto. All’inizio, negazione, con la diffusione di teorie sulla possibilità di un secondo referendum. Poi rabbia: il voto è ingiusto. Terza fase, negoziazione: forse non è poi così male, potremmo seguire il modello norvegese o svizzero. Ora è nel quarto stadio: la depressione. Al momento è questo sentimento a guidare la contrattazione sul pound. La quinta fase, lo ricordiamo, è l’accettazione. Ed è notizia di oggi che grossi gruppi bancari e finanziari stiano valutando seriamente un trasferimento in altre capitali europee».

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