Il bisonte fuma Marlboro: vita di Dario Hubner

La carriera di uno dei bomber di provincia più amati, dalle riserve nelle serie cadette alla Serie A, raccontata da Valderrama.it

La nuvola di fumo della Marlboro inonda l’aria umida del tramonto. Esce dalle narici del naso ricurvo e sfiora gli zigomi prominenti del suo volto antico, prima di perdersi per sempre mischiandosi con l’odore di letame che arriva dai campi concimati. Dario Hubner, il bisonte, osserva l’ennesima sigaretta della giornata morire nel posacenere. Da quando ha smesso di giocare non è invecchiato molto, eccetto per qualche pelo bianco spuntato di recente. Il suo volto è quasi identico a quando strappò il primo contratto nel 1988, a vent’anni, con la Pievigina. La fortuna di chi a vent’anni ne dimostra già cinquanta è di invecchiare lentamente.

Assapora la sua terza birra del pomeriggio. Scende nella gola rinfrescando le parti “brasate” dall’ultima sigaretta. Per un attimo vede in controluce la pesante silhouette di un bisonte. Il maestoso mammifero fa capolino appena oltre la cascina lungo il viale deserto. Che strano scherzo della natura sarebbe stato se i bisonti invece che nelle immense praterie americane si fossero diffusi nella bassa padana. Tra una strada di campagna e la statale, sui campi avvolti dalla nebbia, con gli zoccoli nella brina, a brucare erba e zanzare non lontano da un fuoco alimentato dalle puttane in attesa del prossimo cliente. Probabilmente il destino loro riservato non sarebbe cambiato in meglio. Vittime designate di massacri pari a quelli subiti nelle praterie. Ad ogni passaggio di una mandria su un campo coltivato, i contadini che si incazzano, che le palle ancora gli girano, i forconi, i fucili e le fiaccolate della Lega Nord. Bisonti cucinati nelle trattorie, venduti sotto forma di salami nelle macellerie paesane, segregati negli agriturismi insieme a oche e conigli, per la gioia dei bambini. Hubner nota la gobba dell’animale risaltare nitida sul rosso del sole che scende dietro l’antico fienile. Forse è un’allucinazione oppure solo un gioco di ombre. Non è importante. Dario si accende un’altra sigaretta.

Dario Hubner, il bisonte, osserva l’ennesima sigaretta della giornata morire nel posacenere. Da quando ha smesso di giocare non è invecchiato molto, eccetto per qualche pelo bianco spuntato di recente. Il suo volto è quasi identico a quando strappò il primo contratto nel 1988, a vent’anni, con la Pievigina. La fortuna di chi a vent’anni ne dimostra già cinquanta è di invecchiare lentamente.

L’attaccante per anni ha gestito insieme al cognato il bar Tatanka a Capergnanica, un chilometro e mezzo oltre la frazione di Passarera, dove vive. Chiusa quell’esperienza ha aperto il Type Bar a Crema. Da qualche tempo però ha lasciato la gestione anche di quest’ultimo. La piccola distanza che separava casa sua dall’attività commerciale era diventata troppo grande per il bisonte. Da sempre Dario non ha mai amato fare troppa strada per inseguire le proprie passioni. A volte è stato costretto dalla natura itinerante della carriera del calciatore ad allontanarsi dalla propria dimora, ma appena ne ha avuto opportunità, ha sempre preferito scegliere soluzioni che non lo allontanassero troppo dai suoi territori e dal suo paese.

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