Mario Segni: «Con il ritorno al proporzionale l’Italia sarebbe condannata all’agonia»

Dopo la vittoria del No, per l'ex leader referendario tornare al Mattarellum è l'unica soluzione. E se Renzi vuole rimediare agli errori, si intesti questa battaglia

Il ritorno a una legge elettorale di tipo proporzionale sarebbe un ritorno alla prima repubblica e ai suoi limiti. E’ questo lo sbocco peggiore che Mario Segni, l’ex leader referendario fra i protagonisti del rinnovamento politico di inizio anni Novanta, scorge nella crisi del governo di Matteo Renzi. Segni, 77 anni, ex Dc, aveva annunciato un Sì critico al referendum del 4 dicembre, convinto che nonostante altre carenze l’impianto della riforma costituzionale fosse coerente con le conquiste degli ultimi vent’anni. La vittoria del No ha invece rafforzato la tentazione di varie forze politiche di riscrivere la legge elettorale seguendo il modello proporzionale, anche nel timore di un inedito governo a 5 Stelle. Per Segni, però, la soluzione deve essere diversa e più rispettosa del potere di decisione dei cittadini: tornare al Mattarellum, la legge elettorale prevalentemente maggioritaria scritta proprio sull’onda dei successi referendari del 1991-1993, e che ironia della sorte prende il nome dall’attuale presidente della Repubblica. “Quella legge elettorale fu voluta dagli italiani – dice Segni in questa intervista a Linkiesta.it -. Il referendum del 1993 ebbe un’altissima affluenza e passò con più dell’80% dei voti. Possiamo insomma dire che ebbe il più alto numero di Sì della storia repubblicana“.

Professor Segni, secondo lei la vittoria del No al referendum costituzionale ha aperto o aprirà definitivamente una nuova stagione politica, come accadde coi referendum di inizio anni Novanta, di cui fu protagonista?

L’esito di questo referendum può aprire una stagione politica di ritorno al proporzionale, che sarebbe una sciagura. Oppure potrà essere considerato solo il terzo tentativo fallito di riforma costituzionale. Vedremo.

Perché il proporzionale sarebbe una sciagura?

Perché il ritorno al proporzionale è il ritorno a trent’anni fa, al 1986, alla prima repubblica. Può questa Italia della prima repubblica affrontare le sfide dei tempi moderni?

Messa così, la risposta sembra scontata.

Non bisogna dimenticare che quell’Italia ha accumulato il debito pubblico che ancora ci portiamo sulle spalle. Era un sistema farraginoso. Proviamo a immaginare come possa esserlo adesso, considerando le previsioni dei principali sondaggisti: il 30% al Partito Democratico, il 30 al Movimento 5 Stelle, il 10 a Forza Italia, il 10 alla Lega e tutto il resto sempre più spezzettato, perché uno degli effetti del proporzionale è di spingere alla frammentazione . Che Governo si potrà fare, con questo scenario? Un Governo che metta tutti insieme, compreso Berlusconi, ma senza M5S e Lega. Difficile pensare che possa avere vita facile e dare risposte al paese, perché sarebbe caratterizzato da contraddizioni interne e frequenti litigi. C’è un solo modo per dirlo.

Dica.

Con il ritorno al proporzionale, l’Italia è condannata all’agonia.

Rispetto a trenta ma anche a vent’anni fa, il panorama politico italiano è però un po’ diverso. C’è un tripolarismo di fatto. Che tipo di legge elettorale può trovare l’accordo di tutte le forze parlamentari?

La democrazia più antica, quella inglese, è da decenni di fatto un sistema tripolare. E funziona. Quindi la soluzione perfetta c’è già. Sarebbe costituzionale e aderirebbe pienamente al principio secondo il quale è il Parlamento al centro del sistema istituzionale. E’ il Mattarellum. Il ritorno al Mattarellum.

Dove la seconda repubblica è iniziata?

Quella legge elettorale fu voluta dagli italiani. Il referendum del 1993 ebbe un’altissima affluenza e passò con oltre l’80% dei voti. Possiamo dire che ebbe il più alto numero di Sì della storia repubblicana. Quel referendum, insieme alla nuova legge elettorale che ne era seguita, superò anche l’annoso problema dei candidati imposti dall’alto. Oggi bisogna evitare l’incubo di ritornare indietro alla prima repubblica.

E’ curioso che lei citi il Mattarellum mentre tutta la soluzione della crisi di governo è nelle mani di chi diede il nome a quella soluzione. Che margini di manovra avrà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in questa fase?

Il presidente della Repubblica ha un ruolo molto importante, e la sua prima mossa è stata indovinata: dire che non si può andare a elezioni senza una nuova legge elettorale per il Senato. Mattarella può spingere per un Governo che affronti questa questione ma anche le questioni sociali più urgenti.

Secondo lei, siamo alla vigilia di una nuova fase di interventismo del Quirinale?

No, Mattarella non farà l’interventista. Ma può avere un ruolo fondamentale e sono sicuro che lo giocherà fino in fondo.

Le forze parlamentari stanno però confondendo molto le carte sui tempi della nuova legge elettorale. Chi dice che si può fare in pochi giorni, chi invece prospetta mesi di discussione anche per rispetto della Corte Costituzionale che si riunirà il 24 gennaio per valutare l’Italicum. Tutti alibi?

Diciamo che i tempi di una legge elettorale sono certamente lunghi, complicati e difficili. Quello della Corte Costituzionale è un termine, ma se il Parlamento si mettesse a lavorare prima, la Consulta rimanderebbe la sua pronuncia, ne sono sicuro. Però sia chiaro, scrivere una legge elettorale richiede non giorni e forse nemmeno settimane, ma qualche mese sì.

Alla luce delle conseguenze politiche del voto, quanto azzardato è stato Renzi a personalizzare il referendum costituzionale?

E’ stato certamente un errore. Senza la personalizzazione di Renzi, sarebbe andata diversamente. Forse la riforma sarebbe stata approvata. Ma oggi Renzi ha ancora una possibilità che è anche una responsabilità. Può evitare la sconfitta del ritorno al proporzionale, che sarebbe la sconfitta della sua stessa linea politica. In questi giorni ha giocato male, si è inchiodato al suo ruolo ma deve ancorare la sua politica a una linea precisa. Che secondo me è ancora quella delle riforme istituzionali. Renzi deve dare il via a una stagione di primarie a tutti i livelli: se vuole tornare a candidarsi alla guida del Paese, dovrà passare di nuovo da lì.

@ilbrontolo

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