Il cortocircuito degli economisti sull’ideologia economica di Trump

Per Joseph Stiglitz le politiche di Trump faranno infervorare ulteriormente i suoi già arrabbiati sostenitori. Ma altri economisti liberal promuovono le barriere protezionistiche e parlano di “forma moderna di politiche keynesiane”

L’ora dell’Europa sociale

La priorità nel dopo-Brexit deve essere l’Europa sociale – sostiene Gerhard Bosch dalle colonne di Social Europe. Il referendum inglese è stato una rivolta contro i mercati de-regolati e le disuguaglianze sociali, e nasce dall’aver privilegiato a livello europeo la sfera economica anziché il welfare. Il piano di investimenti annunciato da Juncker è in realtà un placebo sottofinanziato, e l’atteso effetto moltiplicatore è solo un’illusione che mina la credibilità stessa dell’Ue. La Confederazione dei sindacati tedeschi (DGB) ha proposto un’alternativa interessante, ossia la creazione di un Piano Marshall europeo.

Si tratta di una visione molto condivisa. Lawrence Summers si dice a favore del ritorno agli investimenti pubblici per infrastrutture, in coerenza con quanti paventano una secular stagnation. Gli investimenti in manutenzione delle infrastrutture sono particolarmente importanti – prevenire è meno costoso che curare – ma gli incentivi politici in tal senso sono limitati, visto che la prevenzione non paga in termini di visibilità, inaugurazioni e nastri tagliati. Indebitarsi per finanziare opere di manutenzione non significa aggiungere costi, ma passare da un regime di spese emergenziali e contingenti a un più regolare e prevedibile rimborso del debito. Anche i nuovi investimenti per le infrastrutture sono importanti, ma in questo caso qualità e quantità sono sullo stesso piano e il progetto deve comunque superare un’analisi di costi e benefici.

Zane Rasnača (Lse-Europp) discute il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, un’iniziativa che potrebbe far fare all’Europa il salto di qualità in materia di questioni sociali. Interessa 20 tematiche – dai salari alle pari opportunità, dalla salute e sicurezza sul lavoro ai sussidi di disoccupazione – ed enuncia i principi generali a cui attenersi. Se l’intento e il contenuto sono lodevoli, lo status giuridico incerto rischia di snaturarne gli obiettivi qualora questi fossero asserviti a una logica meramente economica.

Per Jana Hainsworth, il successo di questa iniziativa dipende da quanto l’Unione europea porrà i diritti sociali al centro del suo lavoro. Tre principi fondamentali dovrebbero ispirare la proposta: occupazione di qualità, adeguato sostegno al reddito, accesso a servizi di qualità accessibili per tutti. Questi principi dovrebbero valere per tutti i lavoratori, a prescindere dal tipo di contratto, così da ricevere una retribuzione equivalente a un adeguato livello di salario minimo; per i disoccupati dovrebbe esserci il diritto a un reddito minimo garantito fissato a un livello adeguato; infine, tutti dovrebbero avere accesso a servizi di qualità.

Su Bruegel Zsolt Darvas si chiede perché sia così difficile raggiungere l’obiettivo, fissato da Europe 2020, di ridurre di almeno 20 milioni il numero di persone indigenti o a rischio emarginazione. La colpa è da attribuire all’indicatore, che non fornisce una reale misura della povertà, ma piuttosto delle disparità di reddito. Le problematiche sociali ricevono scarsa attenzione durante il semestre europeo e le poche direttive riguardano povertà, occupazione ed esclusione sociale anziché le disuguaglianze, con il risultato che l’indicatore rimane inalterato. È importante che in futuro vengano definiti nuovi indicatori di povertà e distribuzione del reddito che considerino la distribuzione del reddito all’interno di tutta l’Unione europea.

Trump: la nuova ideologia economica

Anatole Kaletsky fa una rassegna di illustri economisti che su Project Syndicate hanno discusso la nuova ideologia economica di Trump. Joseph Stiglitz osserva pessimisticamente che Trump promette un ritorno alla cosiddetta trickle-down economics di stampo reaganiano (secondo la quale la ricchezza accumulata da pochi ha effetti benefici anche sugli stati meno abbienti aumentando il benessere collettivo, n.d.t.) con l’aggiunta di altri due fattori quali la guerra commerciale con la Cina e la perdita di accesso alla sanità pubblica per milioni di persone; il tutto avrebbe l’effetto di infervorare ulteriormente i suoi già arrabbiati sostenitori. Simon Johnson osserva che le priorità economiche di Trump sono riflesse nelle scelte fatte per il suo esecutivo, ovvero un mix di “imprenditori che credono erroneamente che il protezionismo sia un buon modo per aiutare l’economia”, e di “fondamentalisti del mercato” determinati a ridurre le tasse. Martin Feldstein è più ottimista, e accoglie favorevolmente la prospettiva di una riduzione delle aliquote marginali più alte, ma è scettico rispetto alle promesse di Trump sull’aumento dei salari, sull’incremento dei posti di lavoro nella “middle class”, e sul rafforzamento della crescita economica in condizioni di quasi piena occupazione (4,9 per cento).

Persino alcuni economisti di stampo liberal accordano una minima fiducia a Trump, quanto meno riguardo alle intenzioni economiche espresse. Dani Rodrik, ad esempio, accoglie favorevolmente l’opposizione del presidente agli accordi di cosiddetto “libero scambio” su cui gravano clausole che nulla hanno a che fare con gli scambi liberi, appunto. Secondo Robert Skidelsky l’enorme progetto di investimenti in infrastrutture, l’imposta sui redditi d’impresa e la promessa di mantenere i diritti all’assistenza e al welfare configurano una sorta di “forma moderna di politiche keynesiane“, in antitesi all’ossessione neoliberale per deficit e riduzione del debito. Parimenti, Kenneth Rogoff avverte che l’indignazione e lo scherno nei confronti di Trump rischiano di offuscare la razionalità di giudizio riguardo le sue politiche economiche che, per quanto regressive, probabilmente daranno una scossa all’economia statunitense, almeno nel breve periodo.

Traduzione dall’inglese a cura di Elisa Carrettoni

Leggi anche:

Italy 2017: Back To Austerity – Social Europe

In a fractured Europe, two celebrations could make or break the Union – EurActiv

Panel verdict: the supreme court decision on article 50 – The Guardian

Segui EuVisions su Twitter

X