Esiste un museo della stregoneria e uno del flipper ma neanche mezzo museo dedicato alla moda e nei magazzini impolverati giacciono collezioni milionarie. Se si cerca su Google “Museo della moda” si ottiene come prima risposta Palazzo Morando – Costume Moda Immagine di Milano poi il Museo della Moda di Villa Mazzucchelli di Ciliverghe di Mazzano e infine il Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti a Firenze.
In realtà nessuna di queste tre istituzioni è al momento un vero museo della moda come lo sono il Musèe Galliera a Parigi o le gallerie del costume del Victoria and Albert Museum di Londra e del Metropolitan di New York.
Palazzo Morando è un palazzo nobiliare nella centralissima Via S. Andrea lasciato al Comune di Milano da Lydia Capraro Morando Bolognini che dal 2010 espone a rotazione una selezione dei circa 6.000 pezzi di abbigliamento che provengono dalle collezioni civiche milanesi. La programmazione (e quindi la curatela) delle mostre di Palazzo Morando è quanto meno incerta. La mostra attualmente in corso si chiama “Ricami di luce. Paillettes e lustrini nella moda dal 1770 al 2004”, un titolo che non si riferisce a un vero tema di ricerca ma piuttosto a una variegata e per forza di cose non esaustiva giustapposizione di abiti ricamati.
La cosa più strana però è che tutto il piano terreno non viene usato come area espositiva ma viene “messo a reddito” affittandolo per eventi, presentazioni o cene aziendali, il ricavato dei quali finisce non al museo ma nelle casse del comune di Milano.
Forse per mancanza di fondi, forse per mancanza di spazi, più probabilmente per mancanza di una solida direzione Palazzo Morando non è ancora diventato uno snodo culturale per la moda e di questo passo non lo diventerà mai. Per fare un esempio, nel corrispondente museo parigino, il Galliera magistralmente diretto da Olivier Saillard, in questo momento c’è in mostra “Anatomia di una collezione” che analizza la relazione tra l’abito e chi lo porta, tra collezioni personali e possessori spaziando dal ‘700 a oggi.
Il Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti, per quanto luogo privilegiato di sporadiche mostre dedicate alla moda, la galleria del costume di Palazzo Pitti non ha mai avuto una programmazione espositiva continuativa
Chiamare museo della moda la collezione di abiti e accessori di Villa Mazzucchelli (per quanto il sito accrediti circa 5.000 pezzi) è alquanto strano. La villa lombarda, perfettamente conservata e usata principalmente come location per pranzi di matrimonio, ha un percorso espositivo dedicato alla moda che per quanto possa essere interessante non ha un curatore accreditato e di conseguenza non se ne capiscono obiettivi e campi di indagine. Il fatto che Google la metta al terzo posto nelle ricerche è una dimostrazione chiara di come questo termine in Italia sia semplicemente usato a caso.
Il Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti merita un discorso a parte. Per quanto luogo privilegiato di sporadiche mostre dedicate alla moda, la galleria del costume di Palazzo Pitti non ha mai avuto una programmazione espositiva continuativa, ma Caterina Chiarelli che attualmente ne è la direttrice si è prodigata in un programma di acquisizioni intelligente che ha reso la collezione decisamente interessante. Eric Schmidt, nuovo direttore della Galleria degli Uffizi, che rimane il più visitato museo italiano, si è subito posto il problema di dare un’identità alla grande raccolta di costumi e abiti già di proprietà del museo. La sua idea è rendere Palazzo Pitti, nel giro di 3 anni, un museo della moda esattamente come il MET o il Victoria and Albert, in collaborazione con quei geni di Pitti Immagine. Palazzo Pitti è in sostanza quanto in Italia abbiamo al momento di più vicino ad un museo della moda ma resta da capire se lo diventerà realmente. A New York il Metropolitan a Maggio presenterà la prima retrospettiva su Comme des Garcons, marchio culto giapponese, per la quale c’è un’attesa a dir poco spasmodica.
Ovviamente esistono decine e decine di archivi in cui preziosissime collezioni ammuffiscono gioiosamente ogni giorno o, se ben conservate, giacciono inutilizzate. Basti pensare a quelli di Walter Albini, delle Sorelle Fontana, di Romeo Gigli, di Iole Veneziani, Biki o Germana Marucelli ma anche di Roberta di Camerino o Krizia.
A fronte di un indotto da 63 miliardi di Euro l’anno in Italia la moda non è considerata un possibile produttore di cultura ma solo di prodotti. Al contrario dell’arte, del design, del cinema, del teatro o del ballo, la moda è confinata nelle fiere di settore, nelle sfilate chiuse al pubblico, negli eventi esclusivi da red carpet
Il portale degli Archivi della Moda del Novecento, del Ministero per i beni e le attività culturali, dovrebbe riunire tutti gli archivi digitali esistenti nell’area moda e mappare quelli fisici in modo da garantire un motore di ricerca per addetti e non addetti ai lavori. Non viene più aggiornato dal 2012 e nell’elenco degli archivi censiti non ci sono quelli di Versace o Max Mara ma ci sono le sconosciutissime Novarese calzature o Sartoria Sabino.
Va da sé che il sito è innavigabile, graficamente vecchio e sostanzialmente inutile ma sul progetto sono stati spesi non pochi soldi pubblici. Inutilmente.
Ma più semplicemente, qualcuno in Italia ha mai visto una mostra dedicata a Gianni Versace? La mostra sull’immenso patrimonio industriale e creativo di Max Mara “Coats” è mai transitata da Milano, dopo aver girato tutte le capitali del mondo? Non ci stancheremo mai di ripetere che la mostra su Alexander Mc Queen “Savage beauty” prima al Met di New York e poi al Victoria and Albert di Londra è stata vista da più di un milione di persone, ponendola, come affluenza di pubblico, sullo stesso piano delle mega mostre degli impressionisti o di Andy Warhol.
A fronte di un indotto da 63 miliardi di Euro l’anno in Italia la moda non è considerata un possibile produttore di cultura ma solo di prodotti. Al contrario dell’arte, del design, del cinema, del teatro o del ballo, la moda è confinata nelle fiere di settore, nelle sfilate chiuse al pubblico, negli eventi esclusivi da red carpet. A metà tra le macchine per l’agricoltura e i settimanali di gossip la moda in Italia non ha alcuna rispettabilità culturale a causa di colpe che vengono da molto lontano.
Gli stilisti e le aziende in primis che non hanno mai cercato veramente di creare un sistema ma si sono per lungo tempo amorevolmente combattuti. Le istituzioni, da sempre concentrate su argomenti molto più nazionalpopolari, che non hanno mai capito il potenziale ritorno economico e di immagine che la moda può creare. E infine i media, sempre troppo dormienti, attenti solo al pettegolezzo superficiale e quasi mai alla profondità di un sistema che da molto tempo dà all’Italia una credibilità e riconoscibilità internazionale come pochi altri settori riescono a fare.
(Si ringrazia Enrica Morini per la collaborazione)