Un tempo una macchina nuova e una casa di lusso erano i beni principali da mostrare al mondo. Oggi, di questi beni “borghesi”, i millennials non sanno proprio che farsene. Chi se ne frega dell’ultimo modello di BMW e dell’attico in centro città, i valori veri sono altri e i beni materiali hanno perso la loro attrattiva a favore di esperienze come viaggi, sport estremi, cene nei ristoranti stellati, e chi più ne ha più ne metta.
Per avvalorare quanto detto, se – come rivela il sondaggio realizzato su 1000 intervistati da Doxa per Idealista – soltanto il 44% dei millenial è uscito di casa nel 2016, è rilevante notare come ben il 66% di questi ha scelto di andare a vivere in affitto piuttosto che acquistare una casa di proprietà.
Complice sicuramente la crisi economica che attanaglia la società dal 2008 e il mancato accesso al credito al consumo. Questo sicuramente ha reso i giovani nati tra gli anni ’80 e il 1995 più prudenti nella decisione di spendere soldi e ancor più prudenti a contrarre debiti. Come posso pensare di pagare un mutuo per 40 anni se non so nemmeno quale sarà il mio lavoro da qui a un anno? Vero. Ma non si tratta solo di soldi. O almeno, non sempre è così: al di là della netta preferenza delle case in affitto a quelle di proprietà c’è anche un cambiamento di rotta generale.
In primis, viene meno quella pressione sociale che incoraggiava a comprare casa, mettere su famiglia e lavorare tutta la vita per la stessa azienda. Di riflesso sono cambiate le priorità e le aspettative dei millennial: preferiscono nuovi modelli di consumo e rifiutano il possesso a favore di una condivisione spesso (quasi) divinizzata. Lo smartphone ha reso accessibile un’infinità di servizi senza l’onere della proprietà. È l’era della sharing economy, oppure, l’era della “riluttanza del possedere”.
Non bisogna però farsi trarre in inganno: non si tratta di una generazione che non vuole possedere più nulla proprio nel momento di massima espansione della società dei consumi, dove vige la ferrea regola del “consumo ergo sum”. Il problema di base è che i giovani si trovano in una società che li obbliga a dover scegliere non fra un’insufficiente varietà di beni bensì fra una sovrabbondanza di modelli. Con il rischio e l’ansia costante di dover decidere, di dover rinunciare ad alternative interessanti, di sbagliare.
La “riluttanza del possedere” dei giovani traduce, più che altro, il timore di fare una cattiva scelta, o di non fare la scelta migliore possibile, dalla quale – è evidente – non si potrà tornare indietro. Non temono l’abbondanza, insomma, ma il “per sempre”. Sarà sempre troppo tardi per riparare a una scelta sbagliata. Tutto ciò che è “a lungo termine” ispira diffidenza – case e relazioni comprese.
Costretti a decidere tra una sovrabbondanza di modelli, i millennials sono affranti dalla paura di sbagliare scelta e dal risentimento per tutto ciò che è a lungo termine. Benvenuti nell’era della “riluttanza del possedere”
Ciò che conta, allora, è la costante possibilità di poter modificare e ridefinire la propria stessa identità. Le generazioni precedenti cercavano la stabilità: i millennial considerano la libertà (alias flessibilità) come indicatore di successo. Libertà di poter scegliere, di poter cambiare e di stravolgere completamente la propria vita. Libertà di potersi inventare il proprio lavoro e di poter andare a vivere dall’altra parte del mondo in qualsiasi momento.
Come diceva il celebre sociologo polacco Zygmunt Bauman, in questi tempi domina “la convinzione che il cambiamento sia l’unica cosa permanente e che l’incertezza sia l’unica certezza”. Resta solo il soggetto e vengono aboliti invece tutti gli oggetti, tutte le cose che – con la loro solidità e la loro stabilità nel tempo – provocano ansia e preoccupazione. E l’esempio più chiaro, più evidente, è proprio la casa di proprietà.