Oggi siamo tutti concentrati sulla dimensione temporale delle nostre azioni. A tal punto che la prima cosa a cui pensiamo al mattino, quando ancora non abbiamo fatto nulla, è di essere già in ritardo. Un paradosso! Il “quando” e il tempo sono diventati una priorità. Per soddisfarla ci siamo inventati corsi di time management e abbiamo piazzato alert ovunque: insomma tentiamo, in una lotta impari, di dominare noi il tempo che invece è il vero padrone della nostra vita. Forse gli diamo troppa importanza.
È curioso come peraltro sia un’ansia tutta moderna. In passato, quando si viveva di meno, e quindi il tempo poteva avere un’importanza maggiore, la concentrazione era più sul “come”. Chi ci ha dato questa lezione? I Greci, e prima di loro gli Indoeuropei. Me lo ha ricordato un libro che raccomando, consapevole che il titolo possa spaventare anche i secchioni del liceo “La lingua geniale: 9 ragioni per amare il Greco” di Andrea (donna) Marcolongo.
Nel raccontare con profonda leggerezza le arguzie di questa lingua, dipanandone alcuni “misteri”, la grecista spiega, oltre a molte cose assai interessanti, l’uso dei verbi greci. Io ho capito troppo tardi che lo sforzo di tradurli secondo i nostri paradigmi mentali non potrà mai sortire alcun effetto. Dal suo libro mi sono sentita come risarcita.
Perché i Greci utilizzavano una forma verbale invece di un’altra, non tanto per collocare l’azione nel tempo, quanto per definirne l’impatto nella nostra vita, in funzione di come veniva fatta. “Il tempo, la nostra prigione: passato presente futuro. Presto tardi oggi ieri domani. Sempre. Mai. Il greco antico badava poco al tempo…i greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre come. Noi prigionieri ci chiediamo sempre quando”.
Prosegue l’autrice: “Contava l’aspetto del verbo, una categoria della lingua greca che si riferisce alla qualità dell’azione”, senza una necessaria dimensione temporale.
È curioso come il “quando” sia un’ansia tutta moderna. In passato, quando si viveva di meno, e quindi il tempo poteva avere un’importanza maggiore, la concentrazione era più sul “come”. Chi ci ha dato questa lezione? I Greci
Un esempio chiarirà meglio: l’aoristo. Al liceo diventa un passato remoto. Errore! L’aoristo è il tempo “indefinito, senza limiti, l’azione è puntuale irripetibile”. Con il presente definisco un’azione nel suo svolgimento in attesa delle sue conseguenze. Con l’aoristo esprimo un’azione sospesa, senza inizio e senza fine: “amo”, quando ami, stai. Seppure con accanto una sfumatura di nostalgia.
E che dire del perfetto del verbo “vedere” in greco che si traduce “so”: ho guardato attentamente e ora so. Tanto basta.Pensando al “mio manager”, l’idea che mi suggerisce questa lettura è questa: e se recuperassimo un po’ di “grecità”?
Se provassimo di più a occuparci del come, forse non avremmo tanta urgenza di gestire il tempo! Ne saremmo (seppure sempre da illusi) più padroni e meno vittime. E allora sì che potremmo poi seguire il consiglio di Orazio, e quel tempo godercelo fino in fondo.Nella vita lavorativa un manager potrebbe per esempio stabilire anzitempo l’agenda di un meeting, rispettarla con rigore (risultando magari anche scomodo) e allocare un tempo per ciascun intervento, predefinito in funzione delle priorità; potrebbe scrivere una mail arrivando subito al punto e nel parlare cercare di dire poco, ma di dirlo in modo strutturato, affinché resti impresso il contenuto. I consigli si sprecano, ma il punto è questo: il quando è importante ma il come ancora di più.
(dimenticavo: l’aforisma che da il titolo a questo articolo è di Aristotele)
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