Da tempo immemore, le istituzioni calcistiche sono state usate strumentalmente per due fini: lanciare la carriera dei loro dirigenti a Montecitorio o a Palazzo Madama oppure assicurare un caldo cantuccio pre-pensionistico a politici ormai bolliti. Colui che negli ultimi trent’anni è riuscito a incarnare entrambe le tendenze è stato Franco Carraro, presidente della Lega Nazionale Professionisti per ben due volte, alla metà degli anni Settanta e alla fine degli anni Novanta. Il primo mandato si concluse con il passaggio alla guida della FIGC, il secondo iniziò nel 1997, dopo una candeggiatura di circa quattro anni: nel 1993, infatti, Carraro, sindaco socialista di Roma (e ministro del turismo e dello spettacolo ad interim), era stato travolto insieme alla sua giunta dagli scandali della Tangentopoli romana e la nomina in Lega aveva il sapore di un “ritorno al via” nel grande Monopoli delle logiche di palazzo capitoline. Non a caso, quattro anni dopo, come un salmone che risale la corrente per potersi riprodurre, Carraro era riuscito a tornare alla sorgente per deporre, di nuovo, le proprie uova: in maniera assolutamente naturale, era stato eletto per la seconda volta presidente della FIGC.
Non stupisce, dunque, che in questi ultimi giorni un altro fantasma sia aleggiato per i corridoi di via Rosellini. E non aveva l’espressione di chi è riuscito a diventare sindaco di Roma grazie al patto del camper tra Craxi e Forlani. Ma un’espressione più sorridente e mite, capace di seppellire sotto una coltre di bonarietà una determinazione spietata e un’altissima stima di sé. Occhiali anonimi, complessione a pera, un porro sotto il labbro inferiore, segno di un retaggio alto-borghese mai nascosto (suo nonno fu l’ambasciatore del Regno di Jugoslavia presso la Santa Sede), Walter Veltroni, per pochi giorni, ha potuto contare su un gruppuscolo di tredici-quattordici squadre che gli avrebbero assicurato il loro sostegno in pace e in guerra, rivolgendosi a lui come all’uomo in grado di porre fine al lungo declino del calcio professionistico in Italia.
Non stupisce, che in questi ultimi giorni un altro fantasma sia aleggiato per i corridoi di via Rosellini. E non aveva l’espressione di chi è riuscito a diventare sindaco di Roma grazie al patto del camper tra Craxi e Forlani.
Dal canto suo, l’ex candidato premier, forse per paura di un rifiuto, si è mostrato fin da subito poco fiducioso nelle propria elezione, trincerandosi dietro un “non ci sono le condizioni” e un “ho fatto una diversa scelta di vita molti anni fa” quando la fumata ha continuato a essere nera: insomma, utilizzando le stesse parole pronunciate da Shevchenko quando lasciò il Milan, ha cercato di prendere tempo per valutare non tanto i contenuti dell’accordo, ma le reazioni del contesto. Che, peraltro, non si sono fatte attendere: Lotito, per esempio, spinto dagli umori politici della curva della Lazio e dalla necessità di mostrare il proprio sostegno al futuro sindaco di Roma, Giorgia Meloni, aveva dichiarato già lunedì che non avrebbe mai votato per Veltroni. La dirigenza del Milan, invece, non si è sbilanciata, preoccupata che una dichiarazione di apprezzamento (non stupirebbe) o di critica potesse ritardare ulteriormente il closing – ma poi questo closing si farà veramente? E soprattutto, questa cordata di imprenditori cinesi esiste veramente?