“Schäuble? È un pericolo per l’Europa (come Trump)”

Al centro delle preoccupazioni dei giornali internazionali ci sono la Brexit (i suoi costi, le modalità in cui avverrà) e la Grecia, con il timore che le posizioni intransigenti dei tedeschi possano far saltare, alla lunga, il progetto di unità europea

Brexit sempre più vicina

Riflettori accesi sulla Brexit, mentre ci si avvicina alla formale attivazione dell’articolo 50. Secondo l’Economist banche e aziende intendono spostare parte delle loro attività da Londra al continente, e stanno valutando quali tra le città europee siano più accreditate a ospitarle. Sul Guardian, Daniel Boffey commenta la dichiarazione di Juncker sul fatto che il Regno Unito dovrà pagare un “conto salato” per accedere al mercato unico “dall’esterno”. A quanto pare la Gran Bretagna dovrà pagare circa 57 miliardi di euro (£48 miliardi) in diverse tranche nei prossimi sei anni per coprire almeno parzialmente il finanziamento di progetti già approvati e per le pensioni dei funzionari inglesi dell’Unione Europea.

Sara Helm, comparando la Brexit e le elezioni presidenziali americane, elogia la condotta della stampa americana nei confronti di Trump, al quale non ha fatto mancare domande scomode e dirette. In Gran Bretagna invece, lamenta la Helm, i giornalisti temono di essere considerati di parte e sono in genere eccessivamente accomodanti con chi è al potere.

Jon Bloomfield sostiene che l’UE dovrebbe prendere l’iniziativa nelle negoziazioni sulla Brexit, pubblicando un libro bianco sulle proprie posizioni negoziali e abbandonando la retorica negativa della punizione, per abbracciare uno spirito di cooperazione sincera. In secondo luogo, l’UE dovrebbe istituire un processo di “sorveglianza democratica”, per cui i partecipanti al negoziato dovrebbero riferire regolarmente al Parlamento Europeo, contrariamente a quanto auspicato da Theresa May. Terzo punto: l’UE dovrebbe estendere il limite di due anni delle negoziazioni, cosa che dimostrerebbe non solo buona volontà ma posticiperebbe la decisione finale dopo le prossime elezioni politiche nel Regno Unito.

La Grecia e la crisi infinita

L’Editorial Board del New York Times afferma che, dopo aver spremuto la Grecia senza preoccuparsi delle conseguenze, i funzionari europei devono ammettere i limiti delle loro analisi politico-economiche. Più insistono nel costringere la Grecia a tagliare le spese ed aumentare le tasse, più si allontanano dall’obiettivo di rivitalizzare il paese affinché non abbia più bisogno di supporto finanziario. Secondo l’Economist, i governi europei non credono che la Grecia abbia bisogno di un alleggerimento del debito, ma insistono che il FMI partecipi nel bailout perché non si fidano della capacità di sorveglianza della Commissione. Bloccati dentro l’euro, incapaci di svalutare, e di fronte al “no” tedesco a una maggiore solidarietà interstatale, la Grecia è stata costretta a percorrere la via della svalutazione interna e dell’austerity. Il carattere ricorrente della crisi greca mostra l’inadeguatezza del meccanismo del bailout, che ormai ha intrappolato sia i creditori sia gli stessi greci.

In un commento alle vicende greche, John Palmer sostiene che Wolfgang Schäuble, il ministro tedesco dell’economia, sia tanto pericoloso per l’UE quanto lo è Trump. Per quanto i loro caratteri siano diversi, l’egemonia di lunga data di Schäuble sulle strategie economiche dell’UE rischia di accendere un’altra fase di instabilità, potenzialmente letale per l’area euro. Secondo Schäuble la Grecia avrebbe bisogno non di meno ma di più austerità, e avverte apertamente che se la Grecia non si adegua potrebbe dover lasciare l’euro, a prescindere dalle possibili conseguenze per la Grecia stessa o per l’UE.

Stephany Griffith-Jones propone un nuovo approccio progressivo per contrastare tali difficoltà economiche. I partiti conservatori hanno ampiamente fallito in questo sforzo, sia perché la loro linea politica si è basata su modelli teorici inadeguati, sia perché sono spesso prigionieri di interessi costituiti. Un pacchetto economico alternativo prevederebbe un aumento negli investimenti pubblici e privati, un maggior equilibrio tra paesi in surplus e paesi in deficit di partite correnti, e un rafforzamento dei diritti contrattuali dei lavoratori, che porterebbe ad un aumento dei salari reali.

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