Populismi di destra
Se con il voto di mercoledì gli elettori olandesi hanno ridimensionato i timori del fantasma del populismo che si aggira per l’Europa, editoriali e commenti sul continente e altrove continuano a occuparsi di movimenti e partiti europei di destra. La redazione del New York Times critica la gestione della crisi dei rifugiati da parte del governo ungherese, che sta toccando vette sempre più alte di crudeltà: è stata infatti approvata la detenzione di massa dei profughi (bambini compresi) in campi sorvegliati. Se l’Europa non contrasta il governo di Budapest e gli consente di agire liberamente, è legittimo chiedersi cosa resti di quei valori che hanno forgiato il progetto di integrazione europea.
Simon Franzmann, su EUROPP, si concentra invece sul partito tedesco Alternative für Deutschland (AFD) di cui ripercorre la storia, spiegando come si sia trasformato da un movimento di economisti a un partito populista a tutti gli effetti. Secondo Franzmann, il passaggio a una retorica populista è stato di natura tattica, dato che “ha (consentito di) camuffare posizioni neoliberali estremiste che non sono sostenute dalla maggioranza dei potenziali simpatizzanti del partito”.
Il futuro dell’Ue
La Brexit e una possibile Grexit evidenziano la degenerazione della leadership e della governance dell’UE, sostiene John Weeks su Social Europe. Secondo Weeks la struttura di governance dell’UE, dominata dell’azione della Commissione, riduce ai minimi termini la portata dei processi democratici. Inoltre, le condizioni imposte dai Trattati restringono lo spazio di manovra dei governi nazionali, il che può contribuire a minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Su EUROPP, Vivien Schmidt e Matt Wood discutono il Libro Bianco “sul futuro dell’Europa”, presentato poche settimane fa da Jean-Claude Juncker al Parlamento europeo. Secondo gli autori, il Libro Bianco prende atto della crisi di legittimità dell’Unione, ma non valuta adeguatamente i rischi legati all’approccio “a più velocità”, in termini di trasparenza e responsabilità. Questi due principi necessiterebbero invece di procedure coerenti, guidate da un’autorità definita, o almeno di chiari processi decisionali. Se questa sfida non sarà affrontata in modo adeguato, l’approccio di integrazione differenziata potrebbe causare ulteriori tensioni rispetto all’attuale quadro istituzionale.
Una Scozia indipendente? È ora di una seconda chance
Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato lunedì che il Parlamento scozzese affronterà la questione di un nuovo referendum per l’indipendenza entro la primavera del 2019. Ruth Wishart, dalle pagine del Guardian, sostiene non solo che Theresa May non sia riuscita ad arrivare ad un compromesso con Edimburgo inducendo la Sturgeon a compiere la sua mossa, ma anche che, rispetto al 2014, la Sturgeon possieda carte migliori per vincere nel 2019.
Sul Guardian Larry Elliott sostiene che la Scozia ha buone credenziali per diventare un paese competitivo sulla scena europea: molte imprese finanziarie del Regno potrebbero infatti essere attratte da un paese destinato a diventare la nuova porta di accesso all’Unione europea. Allo stesso tempo, Elliott mette in guardia sui punti deboli dell’economia scozzese, vale a dire un deficit pubblico galoppante (9%), un tasso di crescita debole (0,7%, al di sotto della media del 2% del Regno Unito), nonché una demografia sfavorevole.
Leggi anche:
– Open Democracy – Nationalism – Scottish or British – is never enough. It always says: “We are the Good Guys”
– Social Europe – Citizen’s work or citizen’s income
– Bruegel – European identity and the economic crisis
– Euractiv – Deeper EU defence cooperation benefits governments and citizens
– Bruegel – Debunking 5 myths about Frexit
Traduzione dall’inglese a cura di Elisa Carrettoni