Hans Vollaard è professore di politiche olandesi e europee al’università di Leida. Si occupa, tra l’altro, di euroscetticismo, partiti cristiani, dissoluzione dell’Europa. Lo abbiamo incontrato per chiedergli un’opinione a riguardo delle elezioni nel suo Paese.
Negli ultimi mesi si è parlato molto di un possibile scenario “Nexit” in caso di successo del Partito per la Libertà di Geert Wilders alle prossime elezioni olandesi. Qual è il sentimento generale nei Paesi Bassi riguardo all’Europa?
Innanzitutto, un’uscita dell’Olanda dall’Unione Europea è improbabile. Dopo le elezioni la maggioranza del Parlamento sarà comunque ancora a favore della permanenza nell’UE. Penso che sarebbe problematico anche solo trovare i voti necessari a far passare una proposta di referendum sulla questione. E anche nel caso si arrivasse a un referendum, il popolo olandese voterebbe per rimanere.
Dopo la Brexit, cosa la rende così sicuro che gli olandesi voterebbero per restare nell’UE?
È una questione di pragmatismo: per un piccola economia esportatrice come l’Olanda, l’adesione all’UE è un vantaggio. Nel paese c’è sempre stato un 10% della popolazione di tendenze euroscettiche, così come è sempre stato presente un 10-15% favorevole a un’unione federale europea. Se quest’ultimo gruppo si è forse assottigliato nell’ultimo ventennio, il grosso della popolazione – quello compreso tra questi due estremi – ha una posizione piuttosto pragmatica. Il pragmatismo è una caratteristica tipica degli olandesi, indipendentemente dalla classe sociale e dall’educazione ricevuta. D’altra parte, è vero che i segmenti di popolazione meno istruiti e meno abbienti tendono a essere più pessimisti riguardo all’appartenenza all’UE; comprensibilmente, dal momento che con meno mezzi a disposizione sono più esposti agli effetti della competizione sul mercato del lavoro e percepiscono l’immigrazione come una minaccia.
Eppure in occasione del referendum del 2005 sulla Costituzione europea gli olandesi hanno votato “no” …
In quell’occasione il “no” è stato una reazione al ridimensionamento dei Paesi Bassi nell’UE e all’erosione identitaria in corso. Quelle istanze sono state espresse nel referendum sulla Costituzione che, in fin dei conti, non riguardava l’appartenenza all’UE.
Come spiega il successo ottenuto da Wilders nel corso dell’ultimo decennio?
Non bisogna dimenticare che Wilders ha ottenuto 24 seggi in Parlamento nel 2010: da allora, ogni volta che ha partecipato a un’elezione locale, ha perso. È sbagliato dipingere un successo inarrestabile del suo partito, il PVV. Il fatto che, stando ai sondaggi, potrebbe risultare il partito più votato non implica che avrebbe vita facile. La storia di Wilders non è fatta di soli successi.
Negli ultimi dieci anni l’Europa ha visto il fallimento della Costituzione, una crisi finanziaria, il rischio di Grexit e l’esito del referendum sulla Brexit. Quanto ne ha tratto beneficio Wilders?
Certo, non si può dire che tutto ciò non abbia favorito Wilders, ma a mio parere il suo successo sta nelle proposte e nella retorica sul tema dell’immigrazione. Nei Paesi Bassi questo è un problema che ha radici profonde: stando ai sondaggi, a partire dai primi anni Novanta, gli olandesi hanno sempre indicato l’immigrazione e l’integrazione degli stranieri tra le preoccupazioni principali. Nondimeno, solo nel 2002 ha fatto la sua comparsa un partito apertamente anti-Islamico: si trattava della lista guidata da Pym Fortuyn, che ha chiaramente mostrato come una parte consistente dell’elettorato olandese sia favorevole a limitare l’immigrazione. Fortuyn è stato tra i primi politici europei a esibire una retorica euroscettica e antisistema. Fortuyn riuscì a ottenere ben 26 seggi su 150, anche se già l’anno seguente, scoppiata la crisi economica, il partito laburista ha riguadagnato un’incredibile quantità di voti a scapito proprio del partito di Fortuyn.
Quindi si può dire che Wilders stia seguendo le orme di Fortuyn …
Sì, e il supporto a Wilders è cresciuto contestualmente alla crisi dei rifugiati, che da qualche anno è uno dei temi più sentiti nel dibattito pubblico in Olanda.
Eppure l’economia del paese è solida: l’Olanda non sembrerebbe lo scenario ideale per il successo di un partito populista, non crede?
Ironia della sorte, è anche grazie alle riforme approvate dagli ultimi governi di coalizione se oggi possiamo dire che l’economia non è una priorità. Infatti il Partito Laburista (PVDA) sta ottenendo scarsi risultati perché non ha carte “identitarie” da giocare, al contrario del Partito Conservatore (VVD – Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia).
In ogni caso, Wilders punta il dito contro l’UE. Di cosa si lamenta? Dell’austerità?
L’austerità ha certamente avuto un ruolo. Nell’ultimo decennio, i Paesi Bassi si sono sostanzialmente attenuti ai criteri di Maastricht. Nel 2012 Wilders ha ritirato il suo sostegno dalla coalizione di minoranza, a causa dei tagli al welfare previsti dal governo. In quell’occasione ha detto che preferiva tutelare gli anziani piuttosto che seguire le norme dell’UE.
Usa ancora argomenti di questo tipo?
Occasionalmente. Più in generale, Wilders richiama soprattutto la retorica del “riprendere il controllo”.
Nella sua retorica anti-immigrazione, Wilders distingue tra immigrazione intra-UE e immigrazione non-UE (principalmente islamica)?
Sì, si concentra soprattutto sull’Islam. In realtà, gli preme soprattutto collegare il tema dell’anti-islamismo alla crisi migratoria. Questa strategia gli consente di sostenere che l’UE non è in grado di garantire frontiere adeguate, di limitare le infiltrazioni terroristiche e di tutelare la sicurezza dei suoi cittadini.
La Brexit aiuta Wilders?
In fondo non così tanto. Il risultato del referendum nel Regno Unito ha probabilmente rafforzato le opinioni di coloro che erano già euroscettici. Tuttavia, Wilders fa spesso riferimento alla Norvegia e alla Svizzera, due paesi che ottengono buoni risultati anche fuori dell’UE.
Cosa succederebbe se Brexit si rivelasse una storia a lieto fine?
Potrebbe condizionare il comportamento di voto degli olandesi: una parte dell’elettorato pragmatico cui accennavo prima potrebbe optare per l’uscita dall’UE.
Wilders a parte, ci sono comunque altri partiti con programmi esplicitamente euroscettici.
Ci sono partiti minori che fanno leva sull’euroscetticismo ma non riusciranno ad arrivare in Parlamento. Questi partiti auspicano un’associazione nord europea di libero scambio che comprenda la Germania, e spingono per un’unione monetaria ristretta che faccia capo alla Germania stessa – elementi difficili da riscontrare tra gli euroscettici del Regno Unito. Quindi ci sono differenze sostanziali tra il Regno Unito e i Paesi Bassi. Il tutto si riduce alla consapevolezza di essere dipendenti da altri paesi, in particolare dalla Germania.
A parte i Paesi Bassi, pensa che assisteremo a scenari “exit” di altri paesi?
No, dubito che altri paesi seguiranno l’esempio del Regno Unito. La maggior parte degli Stati membri non lascerebbe l’UE, anche se con tutta probabilità starebbero meglio al di fuori dell’Unione, come nel caso della Grecia. Lo stesso vale per la Francia: nonostante i problemi economici del paese, non credo che i cittadini francesi opterebbero per una “Frexit”. Sono anche molto scettico riguardo l’effettiva capacità del Presidente francese di organizzare un referendum in tal senso: prima di tutto si dovrebbe passare per il Parlamento e il Governo.
In questa prospettiva, non mi sembra che lei consideri le forze populiste un rischio grave per l’UE.
Non la metterei in questo modo. Non credo che il populismo distruggerà l’Unione europea: credo piuttosto che il populismo indebolisca l’Unione dall’interno. Prendiamo per esempio il bilancio dell’UE: è già accaduto che, sotto la pressione di diversi paesi, gli stanziamenti di bilancio venissero ridotti o reindirizzati in modo strategico. Un indebolimento dell’UE risulterebbe dall’escludere i paesi deboli o impedirne l’integrazione, ad esempio impedendo a Romania e Bulgaria di partecipare all’area Schengen, o reintroducendo i controlli alle frontiere, come già avviene in alcuni paesi. Alcuni partiti stanno chiedendo regole e procedure di uscita dalle diverse “aree” dell’UE. Ciò consentirebbe, per esempio, di fare uscire la Grecia dalla moneta unica senza comprometterne la permanenza nell’Unione.
Il dibattito su Nexit, Frexit e simili non è di natura strategica. Se l’euroscetticismo è piuttosto diffuso, il consenso attorno alla possibilità di uscire dall’UE è piuttosto modesto. In questo contesto, è più probabile vedere politici alla ricerca di opzioni concrete di riduzione dei costi – politici ed economici – dell’appartenenza all’Unione Europea.
Traduzione in italiano a cura di Elisa Carrettoni