L’articolo 50 è stato finalmente attivato: il Regno Unito riuscirà a reggere allo shock? Se lo chiede Janice Morphet su EUROPP (LSE): del rapporto tra Scozia e Regno Unito si è molto parlato in questi giorni, e non è da escludere che a breve sarà l’Irlanda del Nord a finire sotto i riflettori. Il processo di pace con l’Irlanda, sancito dal famoso ‘accordo del Venerdì Santo’ del 1998, sarebbe messo a rischio da un irrigidimento delle frontiere tra il Regno Unito e l’UE. L’approccio negoziale britannico con l’UE sembra improntato al divide et impera: è probabile che la stessa tecnica verrà impiegata con Irlanda del Nord e Scozia.
È della stessa idea James Anderson, secondo il quale la reintroduzione dei controlli alle frontiere potrebbe avere effetti dirompenti e sarebbe estremamente impopolare non solo tra la popolazione che risiede lungo il confine, ma per l’intera isola: una diffusa resistenza popolare o episodi di disobbedienza civile non sono da escludere.
Anche Gibilterra risente delle conseguenze della Brexit, dopo essere stata trascinata al centro delle negoziazioni dalla Spagna. Secondo Paul Mason, la risposta teatrale di alcuni membri del partito conservatore inglese, che hanno rievocato la Guerra delle Falklands, è stata esagerata. Un atteggiamento del genere ha senso solo se si prendono per buoni gli auspici di quanti vedono nel futuro della Gran Bretagna fuori dall’Unione un rinnovato impero coloniale. L’economista Andrew Lilico auspica la creazione di un’alleanza chiamata Canzuk tra Inghilterra, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Nonostante la distanza geografica – e nonostante il fatto che gli scambi commerciali tra l’Inghilterra e gli altri paesi Canzuk riguardino solo il 3% del PIL britannico – la solidità dell’alleanza sarebbe garantita dalle affinità culturali tra i paesi.
Theresa May non potrà cavarsela con un bluff, dato che anche gli altri leader europei hanno parlamenti a cui rendere conto, media di cui preoccuparsi e elettori da non scontentare. Quindi, se davvero spera di ottenere “il miglior accordo possibile per l’economia del paese”, dovrà essere onesta con il pubblico e con il suo partito riguardo i compromessi necessari al raggiungimento di un accordo
Andrew Rawnsley sul Guardian riconosce che la lettera con cui Theresa May ha notificato all’UE l’articolo 50 sia stata sorprendentemente costruttiva, con toni più concilianti rispetto alla retorica incendiaria adottata in altre occasioni. In passato, i Brexiters avevano dato l’impressione di vedere le trattative come un gioco a somma zero, dove una delle due parti può vincere solo a spese dell’altra. Theresa May non potrà cavarsela con un bluff, dato che anche gli altri leader europei hanno parlamenti a cui rendere conto, media di cui preoccuparsi e elettori da non scontentare. Quindi, se davvero spera di ottenere “il miglior accordo possibile per l’economia del paese”, dovrà essere onesta con il pubblico e con il suo partito riguardo i compromessi necessari al raggiungimento di un accordo.
Secondo Per Wijkman, la Brexit non è nemmeno un gioco a somma zero, ma addirittura negativa: tutti perdono. Il Regno Unito rischia di vedere dimezzate le proprie transazioni commerciali, visto che sono prevalentemente rivolte all’UE; a sua volta l’UE rischia di andare incontro a un processo di disgregazione. Per una scelta davvero consapevole, le parti dovrebbero poter confrontare i costi/benefici della Brexit (inclusi quelli derivanti da nuovi eventuali accordi commerciali), con i costi/benefici di uno scenario di ininterrotta appartenenza all’UE. Questo significa che le parti dovrebbero arrivare a un accordo sulla Brexit e sul commercio prima di prendere una decisione definitiva, in seguito alla quale indire un nuovo referendum tra i due scenari.
Sempre sul Guardian, Sam Fowles è preoccupato che i cosiddetti “poteri di Enrico VIII” (che verrebbero utilizzati per garantire alla Gran Bretagna un’uscita non traumatica dall’UE) potrebbero dare margini al governo per attuare ampi interventi legislativi. Circa il 14% del diritto primario è soggetto in qualche misura all’influenza dell’UE. Il cosiddetto repeal act riguarderebbe più di un decimo di tutte le leggi del Regno Unito, nell’ambito delle quali l’esecutivo avrebbe più poteri del parlamento. L’unico limite che il governo propone per l’utilizzo dei “poteri di Enrico VIII” è che vengano usati esclusivamente per “emendamenti tecnici”. L’esempio fatto dal governo, ossia la rimozione delle consultazioni necessarie prima che le compagnie petrolifere siano autorizzate a costruire in habitat protetti, non offre alcun motivo di ottimismo.
Secondo Roland Benedikter e Ireneusz Pawel Karolewski (EUROPP – LSE), nonostante la Brexit il futuro dell’UE è più roseo di quanto si pensi. L’Unione rimane il più grande spazio economico al mondo e, nonostante il suo fallimento sia stato più volte evocato, si è sempre rialzata più forte dalle varie crisi
Secondo Roland Benedikter e Ireneusz Pawel Karolewski (EUROPP – LSE), nonostante la Brexit il futuro dell’UE è più roseo di quanto si pensi. L’Unione rimane il più grande spazio economico al mondo e, nonostante il suo fallimento sia stato più volte evocato, si è sempre rialzata più forte dalle varie crisi. Inoltre, i cittadini più giovani dei 27 stati membri sembrano aggrapparsi all’Europa ora più che mai, mobilizzati in modo positivo dalla Brexit. Infine, le riforme procedono (e più facilmente senza il Regno Unito), a partire dal progetto di un Esercito Comune Europeo come risposta alle minacce interne ed esterne.
Natalie Nougayrède condivide queste riflessioni: l’UE sta semplicemente attraversando una “crisi di mezza età”, in cui si fanno i conti con la consapevolezza che i propri sogni difficilmente si realizzeranno, ma non si vogliono gettare via gli importanti traguardi raggiunti. L’UE rappresenta il 7% della popolazione mondiale, circa il 23% del PIL globale e il 50% degli investimenti pubblici globali. Ancora più importante, l’Europa è una delle regioni al mondo con il più elevato standard di vita, e per la sola speranza di accedervi in molti mettono a rischio la propria vita. Anche Sergio Fabbrini è ottimista sul futuro dell’UE, che sembra dirigersi verso un’unione federale piuttosto che verso uno stato federale. Secondo Fabbrini l’unica via perseguibile consiste nell’affidare all’UE solo tre competenze federali: spazio, sicurezza, economia e sviluppo, sulle quali dovrebbe esercitare una giurisdizione esclusiva (ovvero senza riserve).
Traduzione dall’originale inglese a cura di Veronica Langiu