Elezioni in Francia, secondo round: sarà il populismo europeista a salvare Macron?

Mentre in Francia si attendono i risultati finali del ballottaggio del 7 maggio, la May con una maggioranza risicata dovrà giocarsi molto bene la sua partita Brexit. In Ue intanto si parla già di reddito di base parziale

Si può parlare di “populismo anti-populista” nel caso di Macron? Se lo chiede Fabio Bordignon sul Blog EUROPP (LSE). Il curriculum di Macron, grande favorito nella corsa per l’Eliseo, sembra scritto per essere preso di mira dalla retorica populista: laureato all’École nationale d’administration (ENA), un passato nella finanza (ha lavorato presso la banca d’affari Rothschild), ex Ministro dell’economia nel governo Hollande. La sua probabile vittoria sarebbe la prova che il populismo si può battere. D’altra parte però, si può dire che Macron combatta il populismo con le sue stesse armi: si è presentato come un outsider rispetto ai partiti tradizionali, alla guida di un movimento personale nuovo di zecca, comparso sulla scena politica giusto un paio di mesi prima delle elezioni. È un fervente sostenitore della necessità di avere “più Europa”, ma anche nel suo approccio all’Unione si può parlare di“populismo europeista”.

Nicholas Vinocur su Politico.com invece si dedica a Marine Le Pen, cercando di capire come potrebbe muoversi per ribaltare i pronostici che la vedono sconfitta al secondo turno. Innanzitutto, dovrebbe adottare un messaggio chiaro: ad esempio, il suo appello al “patriottismo economico” (in contrapposizione alla globalizzazione sfrenata) è stato considerato fin troppo astratto, al punto da confondere la sua base elettorale. In secondo luogo, deve conquistare quanti tra i conservatori la vedono come una minaccia e sono spaventati – ad esempio – dall’eventualità di un referendum sulla partecipazione all’eurozona o all’UE. Le Pen deve presentarsi come il candidato in grado di proteggere la Francia e i francesi, con un messaggio non così diverso da quello di Sarkozy. In terzo luogo, deve dissuadere l’elettorato di sinistra dall’andare a votare, in modo simile a quanto fatto da Trump con la sua “suppression tactic”. Infine, non si può escludere l’elemento imprevisto: eventuali errori da parte di Macron (per esempio una fuga di informazioni circa le sue relazioni con Wall Street o riguardo i suoi legami con Hollande) e/o un attacco terroristico su larga scala potrebbero determinare uno spostamento dell’opinione pubblica tale da farle recuperare lo svantaggio.

La FAZ (Frankfurter Allgemeine Zeitung) ha pubblicato il resoconto ufficioso di una cena avvenuta tra Theresa May e Jean-Claude Juncker: a quanto pare alcuni funzionari delle istituzioni UE avrebbero descritto May come una persona fuori dal mondo, che parla per slogan anche in privato, nonché piuttosto impreparata. Le stesse fonti considerano che con tutta probabilità non si raggiungerà un accordo sui termini della Brexit.

Sul Guardian Clive Lewis e Rachael Maskell propongono di sottoporre a un nuovo referendum l’accordo finale Brexit (o anche il “non-accordo”), una volta terminati i negoziati. Non si tratterebbe di porre lo stesso quesito due volte, ma piuttosto di operare una scelta tra due alternative specifiche: visto che i Brexiters si sono sempre proclamati alfieri della “volontà popolare”, non dovrebbero avere nulla in contrario. Inoltre, data l’intenzione di Theresa May di escludere il Parlamento dalle negoziazioni, nemmeno le prossime elezioni generali faranno molto per assicurare alla popolazione un qualche potere di controllo sul processo.

Mentre severe linee guida dettate dall’UE per l’uscita del Regno Unito dall’UE venivano velocemente approvate all’unanimità, Nick Gutteridge, pur giudicando sorprendente l’unità d’intenti dimostrata dall’UE sulla questione Brexit, è convinto che tale unità durerà poco in quanto il blocco europeo si presenta in realtà come un campo bipartito pronto a darsi battaglia su come riempire il vuoto che lascerà la Gran Bretagna nel budget dell’Unione. Da una parte quanti vorrebbero vedere una riduzione del fabbisogno finanziario dell’Unione, con una razionalizzazione delle inefficienze e il taglio delle spese inutili, dall’altra quanti temono un taglio dei fondi centrali.

Secondo Matthew d’Ancona (The Guardian), per negoziare un accordo favorevole su Brexit, Theresa May dovrà usare il pugno di ferro, cosa non semplicissima con una maggioranza parlamentare risicata sul fronte domestico. Se manca di autorità politica “in casa”, non può negoziare in modo efficace. Questo nonostante le recenti dichiarazioni di Guy Verhofstadt che sull’Observer sottolinea che “per coloro che si siedono intorno al tavolo a Bruxelles, [la portata della maggioranza parlamentare di May] è irrilevante”. Ian Birrell sostiene un punto di vista alternativo, e sul Guardian scrive che una vittoria schiacciante dei Tories indebolirebbe la posizione del Regno Unito sul piano delle trattative, eliminando una delle armi negoziali più usate ai tavoli bruxellesi: “non possiamo accettare perché non riusciremmo a far passare la cosa in Parlamento”.

Su Social Europe Anke Hassel critica le proposte volte ad assicurare un reddito minimo universale, in quanto mortificherebbe gli incentivi degli individui ad essere attivi sul mercato del lavoro, scoraggerebbe gli investimenti personali nell’istruzione e nella formazione professionale e indebolirebbe i meccanismi di integrazione e socializzazione che fanno leva sull’occupazione. Sempre su Social Europe, Ulrich Schachtschneider replica che se da un lato il lavoro è importante per migliorare le proprie capacità, sviluppare fiducia in se stessi e sentirsi riconosciuti nella società, è altrettanto vero che questi benefici non verrebbero necessariamente minacciati dal reddito di base. A tal proposito, UBIE sta studiando l’idea di un reddito di base parziale, un eurodividendo di 200 euro al mese, concesso a tutti i cittadini europei.

Vincenzo Visco invece discute le proposte di tassazione dei robot affermando che, storicamente, i sistemi fiscali si evolvono a seguito dell’evoluzione della base imponibile. Negli ultimi 30 anni, la quota di reddito proveniente dal lavoro è diminuita di oltre dieci punti percentuali nella maggior parte dei paesi, con un aumento equivalente degli altri redditi, ovvero profitti, interessi, rendite, etc. Di conseguenza, sarebbe logico spostare la tassazione su queste fonti di reddito. Più difficile e meno razionale sarebbe invece immaginare un sistema in cui i robot siano identificati e colpiti individualmente.

Traduzione dall’originale a cura di Veronica Langiu

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