La complessità dei tempi che viviamo impone di essere informati, le modalità a disposizione per farlo sono molteplici ma lo scenario che fa da sfondo all’informazione e più in generale alla comunicazione, pare stia subendo una sorta di eterogenesi. Camere dell’eco, disinformazione e, metaforicamente parlando, rumore sono fattori che tra gli altri, stanno svelando rilevanti implicazioni. Queste ultime non possono essere ignorate anche perché emergono da varie ricerche. Una delle più recenti è stata riportata dal World Economic Forum e ci porta a riflettere in particolare su fake news ed echo chamber.
Lo scorso 17 agosto infatti il Wef ha richiamato l’Edelman Trust Barometer, secondo il quale a caratterizzare il 2017 vi è una sostanziale “implosione della fiducia” nei confronti delle Istituzioni, con il livello più basso da 5 anni a questa parte, ovvero da quando è iniziato questo tipo di indagine. Il governo, le Ong, il mondo degli affari e proprio i media sono le categorie di soggetti nei confronti dei quali è stata testata la fiducia di 33mila persone di 28 Stati, tra il 13 ottobre e il 16 novembre 2016. Al netto delle inevitabili differenze tra i vari Paesi, in generale tutte e quattro le categorie esaminate perdono uno o due punti percentuali rispetto allo scorso anno, i media addirittura cinque e passano dal 48% al 43%, quindi sotto la soglia di neutralità del 50%. Il rapporto Edelman evidenzia come sfiducia e perdita di credibilità nell’intero sistema siano strettamente collegati e vadano a rendere le persone più vulnerabili nei confronti di alcune paure avvertite con maggiore intensità rispetto ad altre. Queste ultime sono state individuate nella corruzione, negli effetti della globalizzazione, nella progressiva perdita dei valori sociali, nell’immigrazione e nel ritmo delle innovazioni tecnologiche.
In questa sorta di circolo vizioso i timori percepiti contribuiscono a loro volta a intaccare la fiducia. Tornando ai media, il loro dato è rilevante con i mezzi di comunicazione tradizionali che perdono cinque punti percentuali e presentano una fiducia stimata intorno al 57% e con i motori di ricerca che ne guadagnano tre rispetto al 2016. La tendenza a diffidare dai media pare non sorprendere il World Economic Forum che chiama in causa la consapevolezza acquisita dall’opinione pubblica rispetto al fenomeno della diffusione delle fake news. Il lessico diventato familiare negli ultimi mesi comprende però anche un altro termine: echo chamber, che in breve potremmo definire come spazi virtuali in cui si interagisce solo con chi ha opinioni analoghe alle proprie.
Di chi si fidano allora persone? Innanzitutto più dei motori di ricerca (59%) che di soggetti in carne e ossa (41%) e poi in generale dei pari, di chi è simile a loro, ponendolo sullo stesso piano di un esperto tecnico o accademico. Le persone dunque appaiono disorientate e diffidenti quando devono informarsi
L’Edelman Trust Barometer non ha potuto ignorare questa ulteriore questione e così scopriamo che il 53% degli intervistati ad esempio, non ascolta soggetti o organizzazioni con cui non concorda e che la possibilità di ignorare posizioni contrarie alle proprie si è addirittura quasi quadruplicata. A seguito delle interazioni con altri individui il 52% delle persone coinvolte dichiara di non cambiare mai idea su alcuni rilevanti temi sociali, oppure di farlo raramente. Di chi si fidano allora persone? Innanzitutto più dei motori di ricerca (59%) che di soggetti in carne e ossa (41%) e poi in generale dei pari, di chi è simile a loro, ponendolo sullo stesso piano di un esperto tecnico o accademico. Le persone dunque appaiono disorientate e diffidenti quando devono informarsi. A rendere ancora più confuso il dibattito pubblico è quel rumore di fondo che accompagna gli eventi più rilevanti, un rumore fatto talvolta di polemiche, altre di strumentalizzazioni. L’ultimo esempio in ordine di tempo è stato descritto da Francesco Cancellato.
Non sono poco frequenti i tentativi di polarizzare il pubblico affinché alla prima occasione possa posizionarsi da una parte o dall’altra. Ci si illude che non sia necessario un tempo per comprendere ciò che accade attorno a noi, più prolungato rispetto a quello tipico della rete. Il rischio non è solo che si diano informazioni incomplete o inesatte e che si facciano considerazioni affrettate, ma che si contribuisca a suddividere l’opinione pubblica in gruppi distanti e distinti, tra i quali il confronto si riduce a mera opposizione. Sottrarsi al rumore bianco di questa tipologia di interazione non è facile, eludere questo triste automatismo presuppone consapevolezza e sforzo collettivo. Potremmo iniziare a soffermarci un attimo in più prima di condividere, a non fare da cassa di risonanza. In concreto, potremmo prestare più attenzione a ciò che trova ancora troppo poco spazio nel dibattito pubblico, parlare di atti di solidarietà e raccontare la compassione, dal momento che ad attenderci è una sfida culturale ancor prima che politica.