Il discorso di Juncker e le riforme necessarie per l’Ue

I giornalisti europei approvano il discorso del presidente della Commissione e vedono l'Ue a più velocità come una risorsa politica nei momenti di crisi. Macron e Merkel hanno una visione diversa sui mali dell'Ue: per il presidente francese c'è poca centralizzazione, per la Cancelliera ce n'è troppa

PATRICK HERTZOG / AFP

Gli alti e bassi dello stato dell’Unione

Andrew Watt esamina il discorso sullo stato dell’Unione, di carattere ottimista, del presidente Jean-Claude Juncker. A seguito delle numerose sconfitte delle forze populiste in tutta Europa, l’UE, deve sfruttare il momento favorevole e realizzare nuove e ambiziose riforme istituzionali: istituire un’“Autorità del lavoro” comune in modo tale da garantire equità nel mercato unico, un accordo per il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, un’Unione europea degli standard sociali, una maggioranza qualificata al voto su materie fiscali, un ministro europeo per l’economia e la finanza, la fusione delle presidenze della Commissione e del Consiglio in una figura unica. Nonostante quello che gli euroscettici possano pensare, il potere risiede sempre nelle mani degli stati membri, La Commissione, in materia di integrazione politica, ha lanciato un guanto di sfida, adesso sta a loro raccoglierlo.

Pol Morillas si concentra sulle argomentazioni di Juncker nella lotta contro un’Europa a velocità variabili, incoraggiando tutti i paesi ad unirsi all’Eurozona entro il 2019 e ad espandere l’area Schengen a Bulgaria, Romania e Croazia il prima possibile. Un’Europa a velocità variabili non rappresenta un obiettivo, ma bensì un metodo, in contraddizione con le parole di Juncker. E, parlando di obiettivi, è logico aspettarsi che la Commissione Europea miri a rafforzare l’integrazione europea e a evitare qualunque tipo di Europa di “seconda classe”. Un’Unione flessibile, o a velocità variabili, in qualità di metodo, possiede tuttavia un vantaggio comparativo rispetto alle alternative. All’interno di un’Unione incapace di fornire soluzioni durature alle proprie crisi e dove gli stati membri hanno spesso preferito negoziazioni con esiti a somma zero, in caso di nuove crisi una paralisi istituzionale sarà sempre un’eventualità.

Riformando l’Europa

Barry Eichengreen sostiene come questo sia un buon momento per rimediare alle falle dell’euro grazie agli ormai prossimi nuovi leader in Francia e Germania. Tuttavia le due parti hanno opinioni contrastanti, con Macron che ritiene che il problema risieda nell’insufficiente centralizzazione, mentre la Germania, invece, nell’eccessiva centralizzazione. Ma esiste uno stretto sentiero percorribile da entrambi gli schieramenti. Inizia con il completamento dell’unione bancaria tramite l’assegnazione di un sistema di garanzia del deposito comune alla Banca Centrale Europea. Prosegue con la necessità di trasformare il meccanismo europeo di stabilità in un vero e proprio fondo monetario europeo. Dovranno essere necessari dei compromessi con la Germania per una sorveglianza più rigorosa, ma sarà un prezzo accettabile per salvare l’euro.

Jennifer Oser and Marc Hooghe discutono uno studio che analizza le politiche europee e statunitensi volte al rafforzamento della democrazia e delle misure redistributive. Gli autori sottolineano che rispetto al contesto USA, in Europa sono assenti gruppi di pressione e politici che si oppongono in maniera radicale a interventi governativi volti a ridurre la povertà. Ciò potrebbe facilitare l’attuazione delle riforme recentemente auspicate dal Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, in occasione del discorso sullo stato dell’Unione.

Katy Hayward and Maurice Campbell commentano un articolo pubblicato dal Legatum Institute che analizza la problematica inerente al confine tra Eire e la regione britannica dell’Irlanda del nord, in funzione dell’uscita del Regno Unito dall’UE. Il Legatum Institute raduna esperti di vari settori e rappresenta un punto di riferimento importante per il Governo nella definizione dell’approccio alla Brexit. Eppure, Hayward e Campbell affermano che l’analisi dell’Istituto sia erronea. In particolare, gli autori sostengono che la valutazione degli esperti sia basata su una percezione sbagliata, da un lato, della del contesto sociale e politico in Irlanda del Nord, dall’altro, dei fondamenti di integrazione europea, del diritto commerciale internazionale e delle pratiche doganali.

La versione originale in inglese qui.

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