Per chi abbia avuto la fortuna di frequentare le lezioni di filosofia alle scuole superiori (non parliamo di chi frequenta filosofia all’università, che ovviamente è un passo oltre), si ricorderà sicuramente di filosofi intenti a immaginare paradossi per poter provare o falsificare qualche teoria di qualche altro filosofo.
Spesso gli studenti odiano questi paradossi, alcuni invece li amano per il ragionamento logico che ci sta sotto e per la capacità dialettica, pochi però riescono veramente a vederli come ragionamenti in grado di mettere in crisi la conoscenza che abbiamo della realtà che ci circonda (anche decontestualizzati dalla diatriba per cui sono stati creati).
Spesso gli studenti odiano questi paradossi, alcuni invece li amano per il ragionamento logico che ci sta sotto e per la capacità dialettica, pochi però riescono veramente a vederli come ragionamenti in grado di mettere in crisi la conoscenza che abbiamo della realtà che ci circonda
Un esempio stupendo è il Paradosso di Zenone che era entrato nella diatriba tra Eraclito, che vedeva l’essere nel suo divenire, e Parmenide, che vedeva invece l’essere come qualcosa di immutabile in tutto.
Il paradosso in questione diceva che se si tira una freccia verso un bersaglio a una data distanza, prima che la freccia possa arrivare a destinazione deve compiere la metà della strada richiesta, dalla quale dovrà arrivare a metà della strada rimanente tra quella già percorsa e il bersaglio e così via fino ad arrivare alla metà della metà della metà della strada mancante dal bersaglio infinite volte.
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