Benvenuti nella repubblica virtuale catalana: l’ultima farsa degli indipendentisti

La repubblica proclamata ieri non ha alcuna ripercussione legale. Il nazionalismo ha fatto harakiri : i secessionisti hanno cercano il martirio ma il presidente Rajoy in meno di tre ore ha sospeso il governo ribelle, sciolto il Parlamento, convocato le elezioni per il prossimo 21 dicembre

LLUIS GENE / AFP

Benvenuti nella repubblica virtuale catalana. Se quella dello scorso 10 ottobre, secondo Wikipedia, durava otto secondi, la repubblica di ieri, venerdì 27 ottobre (un giorno che chissà sarà scritto nei libri di storia), non ha alcuna ripercussione reale, eccetto i festeggiamenti con tanto di fuochi d’artificio davanti alla Generalitat. Nessun controllo del territorio, nessun atto da parte di un governo che non ha avuto niente da dire in Parlamento e niente da fare nei consigli, tranne opporre resistenza (qualunque essa sia) ai possibili effetti dell’articolo 155 della Costituzione. La Spagna si sveglia in stato di shock: gli indipendentisti hanno deciso di immolare i catalani, tutti, per l’ideale riassunto in una bellissima parola: “libertà”. La stessa che, subito dopo la votazione, risuonava nei corridoi della Generalitat. I sindaci indipendentisti, accorsi al richiamo, sfoggiavano il bastone del potere. La scalinata del palazzo brillava di flash, mentre si cantava a gran voce l’inno catalano. I volti soddisfatti dei deputati della Cup facevano il paio con i mezzi sorrisi dei politici di Esquerra Republicana e del PdeCat.

Resta da capire a che tipo di libertà Carles Puigdemont e i suoi facciano riferimento. Libertà di non rispettare la Costituzione e le leggi democratiche, libertà di proclamare una repubblica indipendente con 70 voti su 135, libertà di farlo con una votazione segreta (meglio evitare di dare la faccia in caso di ripercussioni legali), libertà di preferire le istanze di 2,5 milioni di persone rispetto ai 7,5 che vivono in Catalogna, libertà di cacciare via dalla regione ormai oltre mille aziende, libertà infine di giocarsi financo la propria autonomia. Il nazionalismo ha fatto harakiri e ha scelto di assestare un colpo mortale alla Catalogna, condannandola ad una penosa traversata del deserto. Le note dell’inno nazionalista ricordavano d’altronde sempre più quelle leggendarie dell’orchestra del Titanic.

Nemmeno tre ore dopo l’isterico dibattito di Barcellona, il premier spagnolo Mariano Rajoy sospendeva il governo ribelle, scioglieva il Parlamento e convocava elezioni per il prossimo 21 dicembre. È l’ultimo giro di valzer di uno spartito musicale dalle note stonate. I catalani potranno votare, stavolta con tutte le garanzie legali, e in meno di due mesi. Una decisione sorprendente, per molti analisti perfino intelligente, quella presa da Madrid. L’idea, secondo i partiti secessionisti, era ottenere finalmente il martirio, di fronte ad uno Stato oppressore, pronto a sottrarre qualsiasi diritto. Eppure l’esecutivo iberico, con prudenza, ha azzerato l’irresponsabilità di un governo pseudo-democratico e ha ridato voce ai cittadini. Indipendenti e non. Senza nemmeno discutere una possibile riduzione dell’autonomia regionale.

L’errore di Puigdemont è stato quello di aver distrutto il sogno promesso: la repubblica indipendente non è altro che la stessa comunità autonoma. Assomiglia molto alla beffa del signor Melfa di un racconto sciasciano: ambientato ai primi del Novecento, Melfa promette ad alcuni poveri contadini siciliani in cerca di speranza di portarli, dietro lauto compenso, a New York. Dopo undici giorni di mare, gli emigrati sbarcano esausti nella stessa Sicilia dalla quale volevano fuggire. Il governatore catalano ha in fondo fatto le stesse promesse, quelle di un’Arcadia felice, uno stato ricco, indipendente, riconsciuta dall’Ue e da tutti gli organismi internazionali, libero finalmente dal giogo di un regime dittatoriale che vive a Madrid. Molti ci hanno creduto. Molti hanno lottato con lui, sono andati a votare al referendum dell’1 ottobre, hanno occupato le piazze, in nome della resistenza. Ma tant’è. I catalani oggi continuano a fare parte di uno Stato spagnolo, solo più confusi e frastornati. E più divisi che mai. La società si è frantumata con la stessa velocità del sogno del governo nazionalista. Oggi non più governo. Destituito, impoverito, accusato di sedizione e penalmente a rischio. L’indipendentismo ha scelto il suicidio. Il prossimo passo sarà salvare la democrazia spagnola.

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