Dopo anni in cui è rimasta nell’ombra della politica monetaria, la politica fiscale tornerà a essere protagonista. Negli Stati Uniti Trump proverà a mettere in atto la sua ambiziosa riforma e in Europa l’armonizzazione fiscale sarà l’argomento caldo sul tavolo dei leader che tra dicembre e gennaio inizieranno a negoziare il futuro dell’Unione. Ma sul fronte della politica fiscale ci troviamo in un certo senso in un territorio inesplorato. Entrambe le vie classiche – cioè riduzione delle tasse per stimolare la crescita e redistribuzione per migliorare le condizioni delle persone – hanno dei limiti importanti. Per quanto riguarda la prima, non è chiara la relazione tra riduzione delle tasse e crescita economica (quella teorizzata dall’economista Laffer). Nel secondo caso, mettere in atto un aumento selettivo delle tasse senza avere effetti depressivi sull’economia è estremamente complesso, soprattutto se il processo decisionale è molto politico. Non esiste oltretutto una garanzia che la redistribuzione dei proventi sia fatta in modo veramente equo e non in base a logiche elettorali.
In questo inedito contesto economico e sociale, per l’investitore la valutazione di breve termine non cambia.
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Il manuale del bravo economista politico sconsiglierebbe di abbassare le tasse in un momento di crescita economica. Però constatiamo che la tentazione non è mai stata così forte: è un dato di fatto che gran parte della popolazione non goda dei benefici della ripresa economica e che i motivi siano l’onda lunga della crisi, la diseguaglianza, lo sviluppo tecnologico che distrugge i modelli tradizionali o la globalizzazione