Esistono i fatti e le opinioni, poi esiste la realtà e il modo in cui viene percepita. Perils of Perception di Ipsos esamina quanto si discosta ciò che pensano le persone di vari Paesi dalla realtà dei fenomeni considerati, come ad esempio il tasso di omicidi o i decessi per terrorismo. Ebbene l’Italia si colloca al dodicesimo posto sui 38 Stati esaminati per quantità di errori. Oltre ai risultati è interessante riflettere sul motivo delle errate valutazioni. Ipsos evidenzia il ruolo giocato dal fattore emotivo e quindi come non solo spesso si tenda a sovrastimare ciò che alimenta ansia e paure, ma come le brutte notizie impieghino meno tempo a catturare l’attenzione rispetto a quelle positive.
D’altronde dal celebre “La spinta gentile” di Richard H. Thaler e Cass R. Sunstein abbiamo imparato non solo che il modo di pensare degli uomini si basa su due sistemi, quello impulsivo e quello riflessivo con il primo che spesso prevale sul secondo, ma abbiamo conosciuto anche alcune euristiche e le distorsioni che queste determinano. In particolare i due autori hanno citato le regole individuate da Tversky e Kahneman: ancoraggio, disponibilità e rappresentatività. L’ancoraggio opera quando per quantificare un fenomeno, tendiamo ad avvicinarci a un numero che conosciamo già, come quando ad esempio dobbiamo stimare gli abitanti di una città e prendiamo come riferimento la popolazione della capitale e ragioniamo in base a quel dato. La rappresentatività è l’euristica che si basa sugli stereotipi (“l’idea è che nel valutare la probabilità che A appartenga alla categoria B, gli individui reagiscono domandandosi quanto sia simile A all’ immaginario o allo stereotipo che hanno di B, cioè quanto A è rappresentativo di B”, per usare le parole del testo). Infine, la disponibilità porta a considerare più grave o probabile un rischio di cui si è sentito parlare di recente o più spesso oppure di cui è facile pensare immediatamente a un esempio. Secondo Thaler e Sunstein questa euristica non riguarda solo le persone comuni ma anche i rappresentanti e chi ha responsabilità di governo, dal momento che in base a questa sorta di regola si può decidere di intervenire su quelle materie dove i cittadini hanno più paura e magari non dove al contrario, rischi e pericoli sono più probabili.
Pochi giorni fa infatti, l’Istat ha reso noti i dati dell’indagine Eu-Silc da cui emerge che sia il reddito disponibile che il potere d’acquisto delle famiglie italiane nel 2015 sono aumentati. La media è di 2500 euro al mese per nucleo familiare e rappresenta l’1,8% in più in termini nominali e l’1,7% in più in termini di potere d’acquisto rispetto al 2014. Al Sud il reddito medio aumenta più del doppio rispetto a quanto avvenuto su scala nazionale ma resta inferiore se messo a confronto
E a proposito di aree in cui intervenire, un suggerimento è arrivato di recente. Pochi giorni fa infatti, l’Istat ha reso noti i dati dell’indagine Eu-Silc da cui emerge che sia il reddito disponibile che il potere d’acquisto delle famiglie italiane nel 2015 sono aumentati. La media è di 2500 euro al mese per nucleo familiare e rappresenta l’1,8% in più in termini nominali e l’1,7% in più in termini di potere d’acquisto rispetto al 2014. Al Sud il reddito medio aumenta più del doppio rispetto a quanto avvenuto su scala nazionale ma resta inferiore se messo a confronto. Tuttavia sono soprattutto altri i dati che catturano l’attenzione, la stima delle famiglie a rischio povertà o esclusione sociale per il 2016 è infatti del 30% e qui ad essere registrato è un peggioramento rispetto all’anno precedente quando la percentuale era del 28,7.
Come si legge sul sito web del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali la povertà è un fenomeno complesso che dipende da vari fattori in quanto non deriva solo dalla mancanza di reddito ma anche dalle scarse probabilità di partecipare alla vita economica e sociale del Paese. Secondo quanto riportato dall’Istat, il rischio di cadere nella condizione di povertà riguarda sia gli individui considerati singolarmente (e si passa dal 19,9% al 20,6%), sia coloro che vivono in famiglie con scarsi mezzi (e qui l’incidenza passa dall’11,5% al 12,1%), sia infine persone che vivono in nuclei a bassa intensità lavorativa. Anche in questo caso la percentuale è salita, per la precisione dall’11,7% al 12,8%. Le aree più esposte al fenomeno sono quelle meridionali ma rappresenta un campanello d’allarme anche il Centro del Paese dove un quarto dei residenti è a rischio povertà. Scorrendo i dati, si scopre che non sono soltanto i nuclei più numerosi a rischiare l’esclusione sociale ma anche quelli con uno o due componenti. Esistono i fatti e le opinioni dicevamo, ma quelli dell’Istat sono dei numeri e rappresentano un tema su cui molto è stato fatto e molto c’è ancora da fare. Sembra scontato dirlo ma in un dibattito pubblico in cui a volte è difficile individuare le priorità e in cui capita che si confondano le cause con gli effetti, ripeterlo una volta in più non è un errore.