Su The Conversation, Bruno Pellegrino analizza il problema della produttività stagnante nel Belpaese e si chiede se il prossimo governo sarà in grado di affrontare le criticità dell’economia italiana. Intanto Daniel Gros, economista e direttore del think tank CEPS, afferma che è sempre stato scettico nei confronti degli sforzi di riforma intrapresi da Roma. Cosa ne consegue? Che si aspetta poco anche dal futuro. Altri commenti critici di economisti di fama internazionale nei confronti dell’Italia sono stati raccolti da David Böcking per Der Spiegel.
Su The Independent, Orlando Radice scrive che il risultato del voto italiano era prevedibile considerando il trascorso berlusconiano del Paese. Anche David Broder, su Jacobin, sostiene che, con il M5S è nato qualcosa “non del tutto nuovo”: “Il risultato è sorprendente, ma non scioccante”. E mentre Francesco Zaffarano, per The NewStatesman, ripercorre la breve storia di quello che è nato come un “non-partito di un comico”, su Mediapart, in Francia, Fabrizio Li Vigni sostiene che il M5S rappresenta una forza anti-neoliberista.
Riguardo alle elezioni, Ambros Waibel su Taz scrive: “La sinistra è delusa”. Del resto, la crisi della socialdemocrazia è percepibile in tutta Europa. Ne sarebbero testimonianza i risultati elettorali “catastrofici” arrivati nel corso degli ultimi anni. A proposito, un’analisi comparativa delle percentuali ottenute dai partiti socialdemocratici in giro per il Vecchio Continente è stata realizzata da Flora Wisdorff per Die Welt. Giusto chiedersi, a questo punto, se esista ancora una panacea per i mali della sinistra. La redazione del The Guardian sostiene che i progressisti dovrebbero smetterla di imitare la destra e focalizzarsi sulla produzione di policy a favore di un’occupazione “stabile e di qualità”.
Per Rafael Behr “La vittoria dei populisti in Italia mostra l’ampiezza dell’epidemia di rabbia in Europa”, Mentre John Weeks, su Social Europe, si chiede quanti messaggi debba ancora ricevere Bruxelles prima di rendersi conto degli errori che ha commesso in questi anni
Sulle pagine di Project Syndicate, Jan-Werner Mueller chiede: se i cittadini sono tanto irrazionali e mal informati da votare per Trump, Brexit (e per i populisti italiani), non sarebbe logico ridurre il loro potere decisionale? Bettina Gabel, corrispondente per Die Welt da Roma, spiega al pubblico tedesco (incredulo di fronte al ritorno di Berlusconi) che l’Italia è un “Paese profondamente diviso che cerca l’uomo forte” come soluzione ai propri problemi. Lucie Soullier, sulle pagine di Le Monde, sottolinea come Marine Le Pen abbia salutato il risultato di Salvini, ma persegua una strategia differente da quella leghista incentrata su una “coalizione delle destre”.
Bastien Bonnefous scrive che il voto italiano “perturba” i piani di riforma dell’Unione europea di Emmanuel Macron. È dello stesso avviso anche Stephen Bush del The NewStatesman. Jon Henley, sul The Guardian, evidenzia invece la sovrapposizione tra la nascita dell’esecutivo tedesco e l’ingovernabilità italiana. In questo senso, anche Judy Dempsey, su Carnegie Europe, tratta i tanti “mal di testa” dell’Ue. Per Rafael Behr, “la vittoria dei populisti in Italia mostra l’ampiezza dell’epidemia di rabbia in Europa”. Mentre John Weeks, su Social Europe, si chiede quanti messaggi debba ancora ricevere Bruxelles prima di rendersi conto degli errori che ha commesso in questi anni. Eppure, proprio nella capitale europea, non tutti sono preoccupati di quanto accaduto: il report di Luis Grases per Contexte. Forse perché, come evidenziato da Michael Cottakis su EuObserver, questi “populisti” non “vogliono mica uscire dall’Euro”.
Steve Bannon (ex-Breitbart, un portale di informazione internazionale posizionato a destra) afferma che quello dello scorso fine settimana rappresenta un revival in salsa italiana del voto-pro Trump del 2016. Proprio in questo senso, negli Stati Uniti, sulle pagine del New York Times, David Brooks parla del “caos dopo Trump” in Europa. Dal canto suo, Beppe Severgnini narra una “dolce vita diventata amara” (qui invece, l’editoriale sulle elezioni italiane, firmato dalla redazione del NYT).
Secondo Mario Pianta (Università degli Studi di Roma Tre), Social Europe, il voto può essere spiegato tramite i fattori “paura” e “povertà”. Il primo avrebbe spinto la Lega, il secondo il M5S. Una bella analisi del voto italiano corredata da infografiche interattive è stata realizzata anche da Anna-Lena Ripperger per Frankfurter Allgemeine Zeitung. Su Bloomberg, Alberto Alemanno, candidato alla Camera per +Europa, nonostante la vittoria dei populisti e la sconfitta della propria lista, da una lettura positiva del fenomeno M5S: ha il merito inequivocabile di aver aumentato il tasso di partecipazione dei cittadini alla vita democratica del Paese e, su alcune battaglie fondamentali – soprattutto trasparenza e corruzione – si trova dal “lato giusto della storia”. D’altronde, il diritto a governare lo reclamano gli stessi candidati del Movimento, come Federico Manfredi Firmian sulle pagine del The Guardian.
L’Italia è un caso unico rispetto ai voti in Austria, Olanda e Germania: da un lato (rispetto ai casi tedesco e olandese) i partiti mainstream non saranno in grado di creare una larga intesa, dall’altra (rispetto a quanto accaduto a Vienna) il centrodestra non ha la capacità di tenere a bada le forze radicali.
Su Politico, Paul Taylor sostiene che l’establishment italiano dovrebbe dare un’opportunità ai populisti e fargli prendere in mano una parte di responsabilità di governo. Jacopo Barigazzi delinea 5 scenari per la costituzione del prossimo governo italiano. Anche Enea Desideri sulle pagine del think tank britannico, Open Europe, si cimenta in un’impresa simile. Giuliano Ferrara parla di un sistema politico afflitto dal nichilismo.
Nel frattempo, Stefano Stefanini parla dell’Italia come un caso unico rispetto ai voti in Austria, Olanda e Germania: da un lato (rispetto ai casi tedesco e olandese) i partiti mainstream non saranno in grado di creare una larga intesa, dall’altra (rispetto a quanto accaduto a Vienna) il centrodestra non ha la capacità di tenere a bada le forze radicali.
Dalla Spagna, Iñigo Sáenz de Ugarte, vice-direttore di El Diario, sostiene che il voto rappresenta una patata bollente nelle mani di Bruxelles. Sáenz de Ugarte discute inoltre l’importanza del voto nel contesto internazionale. Anche per Stephanie Kirchgaessner, l’elettorato italiano ha lanciato un vero e proprio monito all’Europa. Lorenzo Marsili interpreta il risultato di domenica come il segno di un panorama politico in “transizione”. Verso quale stato? C’è da aspettarsi un colpo di coda dell’estrema destra, o una genuina trasformazione progressista. Tertium non datur.