Pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Stefano Grazioli, Putin 4.0 (GoWare, 2018)
“It is a riddle wrapped in a mystery inside an enigma.” Questa la famosa definizione di Winston Spencer Churchill sulla Russia: «Un rompicapo avvolto in un mistero dentro un enigma». Era il 1939. Per l’Occidente, quasi ottant’anni dopo, la questione non è mutata. Dopo il crollo del comunismo e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Russia rimane sempre un punto interrogativo con il quale ci si deve confrontare, ora più nel male che nel bene. Vladimir Putin, che ha riportato Mosca a essere protagonista sulla scacchiera internazionale dopo il decennio catastrofico e anarchico sotto Boris Yeltsin, è visto come un imprevedibile autocrate del quale non ci si può assolutamente fidare.
Repressioni interne e aggressioni sul versante esterno, tra omicidi di dissidenti, giri di vite sulla società civile, guerre ibride e reali: il tutto senza motivi apparenti, se non quello di un rinnovato imperialismo zarista, e senza sapere quale sarà la prossima mossa del Cremlino. Secondo la cancelliera tedesca Angela Merkel, dopo il regime change a Kiev nel 2014 e appena prima dell’annessione della Crimea da parte di Mosca, Putin vive già “in un altro mondo” e “ha perso ogni contatto con la realtà”. Chi tiene le redini in Russia da quasi vent’anni è dunque una mina vagante, peggio addirittura di quel vecchio ubriacone di Yeltsin che, nel 1995, ospite di Bill Clinton, se ne andava in giro in mutande in Pennsylvania Avenue alla ricerca di una pizza? Tutt’altro.
Vladimir Putin, che ha riportato Mosca a essere protagonista sulla scacchiera internazionale dopo il decennio catastrofico e anarchico sotto Boris Yeltsin, è visto come un imprevedibile autocrate del quale non ci si può assolutamente fidare
Ogni mossa di VVP è tutto sommato prevedibile. Vladimir Vladimirovich non è un folle che si alza alla mattina, decide prima di prendere a pistolettate un giornalista e poi di invadere la Georgia. Contrariamente a quello che si racconta in molte cancellerie e su quasi tutti i mainstream media occidentali, Putin è altamente decifrabile. E non bisogna essere dei raffinati cremlinologi per capire quello che accade a Mosca. Basta semplicemente conoscerlo e analizzarlo. Il difetto principale dell’Occidente è infatti che non si è mai impegnato a fondo nel leggere veramente ciò che è successo e succede in Russia, tralasciando tutti i perché, limitandosi invece a guardare attraverso le lenti casalinghe e volendo imporre non solo la propria visione, ma anche un preciso modello di sviluppo.
Di Vladimir Putin si sa praticamente tutto, la sua biografia di agente segreto e la sua carriera politica sono state messe nero su bianco; ci sono un paio di punti iniziali rimasti poco chiari che però non inficiano la comprensione del quadro completo. Il suo curriculum, da Leningrado a Mosca, è però fondamentale per capire su quali criteri e con quale materiale è stato costruito il sistema sul quale si fonda la Russia di oggi.
Da una parte quel che riguarda il network personale: dal compagno di sambo sulla Neva Arkady Rotenberg, che sarà uno dei protagonisti per la costruzione delle grandi infrastrutture per le Olimpiadi di Soci, a Igor Sechin, la sua ombra da metà degli anni Novanta arrivato oggi sino al vertice di Rosneft, passando per il cuoco Evgeni Prighozin, traghettato dai casinò di San Pietroburgo alla fabbrica dei troll inventata un paio d’anni fa per dare fastidio agli USA. Giusto per fare solo un paio di esempi di gente finita proprio sulla Putin List delle sanzioni americane. Dall’altra parte l’iter di VVP da Leningrado agli anni del Cremlino e la breve, ma intensa, storia della Russia postsovietica sono essenziali per comprendere la tattica e la strategia che Vladimir Vladimirovich ha seguito e segue in ambito internazionale. Tenendo ben presente che la Russia non è un attore che si muove solo per conto suo, ma agisce, interagisce e reagisce in base a quello che fanno gli altri player.
L’iter di VVP da Leningrado agli anni del Cremlino e la breve, ma intensa, storia della Russia postsovietica sono essenziali per comprendere la tattica e la strategia che Vladimir Vladimirovich ha seguito e segue in ambito internazionale
Ed ecco il punto, che ci riporta a Churchill. Se la definizione della Russia è nota, un po’ meno lo è il contesto e il resto della frase pronunciata dall’allora (non ancora) primo ministro inglese. In una trasmissione radio del 1 ottobre 1939, un mese esatto dopo l’invasione tedesca della Polonia e con il governo di Neville Chamberlain ancora in carica, Winston Chruchill si esprime così:
I cannot forecast to you the action of Russia. It is a riddle wrapped in a mystery inside an enigma. But perhaps there is a key. That key is Russian national interest. It cannot be in accordance with the interest or the safety of Russia that Germany should plant itself upon the shores of the Black Sea, or that it should overrun the Balkan States and subjugate the Slavonic peoples of South-Eastern Europe. That would be contrary to the historic life-interests of Russia.
La chiave per capire e prevedere la Russia è guardare ai suoi interessi nazionali. L’URSS sarebbe entrata in guerra solo nel 1941, ma era evidente che una Germania allargatasi dai Balcani al Mar Nero sarebbe entrata in contrasto con gli storici interessi di Mosca. L’Operazione Barbarossa avrebbe fatto il resto e i 20 milioni di russi morti per la vittoria contro Hitler avrebbero fatto sorvolare sui crimini di Stalin. Anche ora. Churchill però ha avuto ragione e il metodo vale ancora adesso: se le rivoluzioni colorate nel giardino di casa ex sovietico, l’allargamento a est della Nato, le guerre condotte dagli Stati Uniti senza mandato delle Nazioni Unite potevano scivolare sulla vodka ai tempi di Yeltsin, con VVP la musica è cambiata, dentro e fuori la Russia.