Il primo ad essere convinto che aprire la strada europea ai liberal-nazionali dell’Fpö di Haider fosse realmente l’unica via per neutralizzare la spinta delle nuove destre fu l’allora Cancelliere del governo di Vienna Schüssel, nel lontano autunno del 2000. Avvenne, però, esattamente il contrario: l’affermazione elettorale di Sebastian Kurz, contraddistinta dal recupero delle parole d’ordine degli ultranazionalisti su migranti, Islam e Europa, non fece altro che trasferire il baricentro dei popolari sempre più verso l’estremismo di destra.
Una pratica che ha finito per essere applicata anche in altri paesi europei, che hanno normalizzato gli estremismi legittimandoli così nell’alveo del mondo conservatore, che ha spostato di fatto i programmi verso l’orizzonte di un’inedita, ed ormai affermata, area di «destra della destra» dove presunti moderati ed estremisti conclamati intrecciano scambi, relazioni e progetti.
«Lo spostamento dei partiti popolari verso destra è oggettivo e osservabile sul piano nazionale in quasi tutti gli Stati membri, pensiamo all’Italia e alle dichiarazioni sui migranti di Berlusconi in campagna elettorale – afferma Francesco Corti, ricercatore in studi europei all’Università di Milano – Questo spostamento come noto si traduce in un approccio euroscettico e in una retorica anti-europeista». L’Italia, quindi, non è esente. Anzi, con l’inedita alleanza tra Cinque Stelle e Lega, lo scenario che Bruxelles temeva di più e che a quanto pare è solo temporaneamente scongiurato, è anche l’alveo del più pericolo tra gli esperimenti: una possibile coalizione “populista” ed “euroscettica”
«Non possiamo ignorare questo stato di fatto, né sottacere quanto sia diffusa, fra i cittadini europei, la convinzione che il progetto comune europeo abbia perso la sua capacità di poter realmente venire incontro alle aspettative crescenti di larghi strati della popolazione – ha detto il 10 maggio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo all’ottava edizione di The state of the Union a Fiesole – e che non riesca più ad assicurare adeguatamente protezione, sicurezza, lavoro, crescita per i singoli e le comunità»· E non ha esitato ad aggiungere che occorre «avviare la riscoperta dell’Europa come un grande disegno sottraendoci ai particolarismi e a narrative sovraniste capaci di proporre soluzioni tanto seducenti e pronti ad attribuire inattuabilità alla stessa Unione».
Narrative sovraniste che preoccupano il Presidente sia sul piano europeo che su quello nazionale. «Il Movimento 5 stelle e la Lega – scrive il think thank Vote Watch, notando le somiglianze tra i due ma constatando l’orientamento decisamente più nazionalista del Carroccio – sono molto critici nei confronti dell’attuale politica dell’Unione europea, poiché condividono opinioni protezionistiche comuni e una forte opposizione alle regole di bilancio dell’Eurozona. La loro offerta comune di abrogare l’ultima riforma della legge sulle pensioni in Italia metterebbe sicuramente Roma in rotta di collisione con la Commissione europea, così come con la Germania e altri partner della zona euro. Il Movimento 5 stelle e la Lega tendono anche a sostenere il rafforzamento delle relazioni dell’Italia con la Russia ed entrambe le parti promettono di fermare le sanzioni Ue contro Mosca».
La situazione italiana non è però una galassia a se stante, ma anzi segue perfettamente quanto sta accadendo in seno al gruppo politico più nutrito e potente d’Europa, il Partito Popolare Europeo
C’è chi dice che le porte del Ppe possano schiudersi di fronte a uno dei due movimenti, la Lega, in particolare. Una situazione che Mattarella ha già vissuto, peraltro, quando nel giugno del 1998, chiamato da D’Alema a ricoprire l’incarico di vicepresidente del Consiglio con delega ai Servizi di sicurezza, si oppose con forza all’ingresso di Forza Italia nel Partito Popolare Europeo: «L’ingresso di Forza Italia nel Partito popolare europeo – disse – mi sembra un incubo irrazionale». Incubo avverato nel corso degli anni però, con tanto di recente riabilitazione di Berlusconi nella versione da statista moderato, non più dedito alla ricerca di epiteti divertenti, ma che anzi incassa appieno l’appoggio da parte del segretario del PPE Antonio López-Istúriz White e si fa guidare dai buoni offici di Antonio Tajani, già commissario e oggi presidente del Parlamento europeo, anche e soprattutto per tranquillizzare i suoi interlocutori sulla capacità – rivelatasi quanto mai sovrastimata – di ammansire Matteo Salvini.
La situazione italiana non è però una galassia a se stante, ma anzi segue perfettamente quanto sta accadendo in seno al gruppo politico più nutrito e potente d’Europa, il Partito Popolare Europeo. Da garante dell’europeismo e principale partito pro-integrazione, sembra che il PPE stia invece candidandosi a diventare la casa dei sovranisti, non covando alcun risentimento o dubbio nell’accogliere leader europei profondamente euroscettici, xenofobi e nazionalisti pur di mantenere il proprio potere nelle istituzioni. Si tratta di una situazione non di poco conto, trattandosi della famiglia politica più longeva d’Europa a cui appartenevano anche i fondatori della stessa Unione, le cui lotte vertevano soprattutto sull’abbattere muri tra Nazioni.
Ed è invece proprio dal partito di maggioranza, casa dei principali partiti conservatori dei paesi membri, che parte la pratica di non esporsi, ad esempio, nemmeno nei confronti del partito Fidesz, dell’ungherese Viktor Orbán, che invece è ben conosciuto per la sua “democrazia illiberale” e la propaganda xenofoba e anti-immigrazione. Piccoli richiami pubblici, certo, qualche frecciata per ricordare la necessità di mantenere lo stato di diritto e non travalicare i confini dell’equilibrio tra poteri, ma nulla di più. Anzi, persino il capogruppo popolare Manfred Weber, membro dell’Unione Cristiano-Sociale in Baviera (CSU), ritratto di un uomo che sa come muoversi nelle stanze del potere, da sempre molto d’accordo con il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, ha seguito le impronte ungheresi, unendosi ai leader delle principali forze di estrema destra d’Europa, da Marine Le Pen in Francia a Geert Wilders in Olanda, nel congratularsi per la vittoria.
Non solo. È infatti proprio di pochi giorni fa l’ennesimo tweet di Weber, in cui afferma che «La soluzione alla sfida delle migrazioni può essere solo quella di fortificare i controlli alle frontiere». Parole che, a quelle latitudini, ricordano fin troppo da vicino la soluzione finale proposta dai nazisti per gli ebrei. Una posizione, quella di Weber, che già in passato aveva invocato un dibattito sull’identità e la cultura dominante, parlando di “difesa del nostro stile di vita”, non indifferente all’estrema destra tedesca, lanciatasi in una difesa interessata della posizione del capogruppo approfittando dell’occasione per additare i media di cattiva interpretazione. Ennesimo indizio dello scivolamento verso destra dei partiti di centrodestra in Europa, che hanno evidentemente perso il controllo per tentare di mantenere l’egemonia.
Le galassie interne del Partito Popolare Europeo lo raccontano ancora meglio. Tra le prime file, il partito popolare annovera, per ricordarne alcuni, sia il già citato movimento Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán, paradigma della visione nazionalconservatrice ormai diffusa in alcuni paesi dell’Europa centrale ex comunista, sia il Partito conservatore norvegese di Erna Solberg che ha appena rinnovato il proprio patto di governo con il Fremskrittpartiet, il Partito del progresso schierato su posizioni xenofobe e identitarie.
Il passaggio da partito di Alcide De Gasperi a casa di Viktor Orban e altri sembra l’emblema dell’incubo di tutti quelli che speravano in una Unione unita e aperta
Il passaggio da partito di Alcide De Gasperi a casa di Viktor Orban e altri sembra l’emblema dell’incubo di tutti quelli che speravano in una Unione unita e aperta. Eppure nessun passo indietro del PPE, che ha invece continuato a ribadire la necessità di mantenere nei propri ranghi tali posizioni estremiste al fine di orientarne le mosse e avere maggiore influenza di controllo, anche a livello nazionale. Una strana mossa, o forse più un tentativo di mantenere alto il proprio bacino di voti, soprattutto in vista delle prossime elezioni del Parlamento Europeo previste per giugno del 2019?
Ad ogni modo, si tratta di una situazione che è costata cara anche alla (quasi) defunta socialdemocrazia, per cui si parla ormai di morte certa, aspettando l’arrivo definitivo della fine. Una fine ancor più veloce del previsto, che vede i partiti della sinistra riformista in evidente affanno in tutto il Vecchio Continente, tanto da patire più di altre formazioni l’era della globalizzazione e dei suoi inediti scenari macroeconomici, che hanno mutato i parametri ed i rapporti di forza nella dialettica tra stato e cittadini. Il riformismo di sinistra sembra aver abbandonato le proprie ragioni fondanti, cedendo di volta in volta all’appeal delle larghe intese. E mentre la Germania rappresenta un caso a se stante, grazie all’intuizione di Angela Merkel in seno alla CDU di ereditare il welfare costruito dal suo predecessore socialdemocratico Gerhard Schröder senza smantellarlo, ma anzi aggiornandolo e tenendolo al passo con gli scenari correnti, il resto d’Europa, Italia capofila, ha perso tutto quel bacino di voti che non crede ad una sinistra che guarda al centro.
Dalla Gran Bretagna alla Francia, dall’Ungheria alla Spagna, l’elettorato non si riconosce più in questi partiti e conferma la preferenza per altre opzioni politiche. Se, da un lato, la socialdemocrazia paga, innanzitutto, gli anni di governo in uno dei periodi più difficili della storia del dopoguerra, a fronte di una crisi economica senza precedenti ed una nuova stagione migratoria, che spaventa più per strategia elettorale che per i sbandierati – ed inesistenti – grandi numeri, dall’altro lato le destre si avvantaggiano cavalcando i nuovi sentimenti, capaci di leggere il sentire popolare, e tentando di mirare dritto alla pancia delle persone. Il tornaconto elettorale è sotto gli occhi di tutti.
Nemmeno i roboanti discorsi dell’attuale presidente francese Emmanuel Macron, che ha parlato a Bruxelles di una possibile “rifondazione europea”, petto in fuori, conscio di essere ormai, dopo l’uscita della Gran Bretagna, unico paese membro che siederà al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sembrano confortare un destino che appare sempre più cupo per l’eurozona. Ad un anno dalle prossime elezione europee, persino la Germania di Angela Merkel, da sempre centro di gravità dell’Europa e mai sganciatasi dalla politica economica ultrarestrittiva di soddisfacimento dei propri interessi nazionalistici a scapito delle altre nazioni dell’eurozona, comincia a guardare con molto timore questo scivolamento a destra del partito di maggioranza più anziano del Parlamento Europeo. «Eppure non possiamo non constatare come la grande coalizione sia ancora in campo e il voto dei popolari sia sempre più vicino ai socialisti piuttosto che ai conservatori o ai partiti nazionalisti – conforta Francesco Corti – Certo fratture nel partito popolare sono evidenti. Alcune sono strutturali, come nel caso ungherese o polacco, dove concretamente è possibile vedere uno spostamento verso destra che si traduce in un allontanamento dal resto del gruppo. Molte però restano fratture su temi specifici, dove l’interesse nazionale prevale su quello sovranazionale».
«Certo, visto lo stato delle cose attuali, è molto difficile che i due interessi non si influenzino e che la leadership del PPE cambi direzione, eliminando in seno le grandi contraddizioni degli ultimi tempi. Sembra che lo scivolamento a destra sia tanto evidente da essere destinato a ridisegnare gli equilibri interni del Partito Popolare Europeo, lasciando intravedere le avvisaglie di una crisi interna che rischia di dividere proprio sull’adozione o meno di politiche in linea con gli estremisti, e trascinare con sé tutta l’Unione. È in corso una trasformazione di estese proporzioni, di cui è difficile immaginare gli sbocchi ma appaiono chiari i componenti essenziali».