Parola di Ibm: I robot sono amici dell’uomo (e il machine learning ci aiuterà, anziché rubarci il lavoro)

Dal 22 al 24 maggio Parma ha ospitato la nuova edizione della fiera SPS IPC Drives. Tra i protagonisti anche IBM, da sempre orientata all’analisi e ottimizzazione del rapporto Uomo – Macchina

LLUIS GENE / AFP

Ad inizio 2018, lo studio Accenture Strategy “Reworking the revolution: Are you ready to compete as artificial intelligent technology meets human ingenuity to create the future workplace?” presentato durante i lavori di Davos aveva parlato molto chiaramente: attraverso il ricorso all’intelligenza artificiale e una efficiente interazione uomo – macchina, entro il 2020 le aziende riusciranno a far crescere i propri ricavi del 38%. A queste condizioni, corrisponderebbe una crescita dei profitti pari a circa 4,8 trilioni di dollari su scala globale.

Si tratta di dati molto positivi, che trovano conferma anche nel rapporto di Mc Kinsey “Notes from the AI frontier” secondo il quale entro pochi anni le applicazioni di intelligenza artificiale saranno in grado di generare un valore aggiunto tra i 3,5 e i 5,8 trilioni di dollari a livello globale grazie, soprattutto, ad una sempre più avanzata capacità predittiva delle macchine che, tuttavia, non potranno mai affrancarsi dalla collaborazione costante e fluida con l’uomo.

Questa imprescindibiità del rapporto Uomo – Macchina costituisce, sin dagli esordi, uno degli assi portanti della filosofia aziendale di IBM, tra i protagonisti della fiera SPS IPC Drives che si è svolta a Parma dal 22 al 24 maggio scorsi. Da Deep Blue a Watson: come l’Intelligenza aumentata, per IBM, rende democratico l’accesso alle tecnologie più innovative. È il 1997 quando il campione mondiale Garry Kasparov viene battuto, nel corso di una partita a scacchi, da Deep Blue, il calcolatore ad altissimo parallelismo dell’IBM in grado di elaborare 200 milioni di mosse al secondo e di memorizzare migliaia di partite giocate.

È solo la prima delle grandi sfide in ambito AI di IBM, storicamente impegnata nello studio e nell’approfondimento del rapporto uomo – macchina e della capacità dei computer moderni di elaborare in maniera strutturata grosse quantità di dati. Risale, invece, al 2005 l’ideazione di Watson, che prevedeva la partecipazione di un supercomputer IBM a Jeopardy!, il quiz televisivo più famoso negli USA. Nel 2011 IBM Watson ha partecipato al quiz sconfiggendo due tra i più vittoriosi concorrenti della storia dello show, Ken Jennings e Brad Rutter, grazie alla realizzazione di un sistema cognitivo basato su un’applicazione avanzata di elaborazione del linguaggio naturale, information retrieval, rappresentazione della conoscenza e machine learning applicato al campo delle risposte a dominio aperto.

Grazie a IBM Cloud, lo sviluppo più interessante di Watson è quello che ha portato le funzionalità e le soluzioni di Intelligenza Artificiale a disposizione di imprese di ogni dimensione e settore, in grado di consentire l’abbattimento democratico delle barriere all’accesso alle tecnologie più innovative. Come sostiene Maurizio Venturi – IT Architect di IBM Italia, «Questo significa offrire al mercato degli sviluppatori di software capacità innovative per la realizzazione di nuove applicazioni in grado di riconoscere e analizzare la voce umana, intuire gli stati d’animo e l’umore dalle persone sia dalle espressioni del viso sia dall’elaborazione di testo scritto. Tra le più comuni applicazioni di Watson già disponibili vi sono quelle inerenti il settore della sanità, dove oggi è possibile arrivare ad analizzare in tempi molto rapidi i dati che emergono da radiografie, esami genetici, dalla visualizzazione della retina degli occhi o da analisi della pelle) e quello dei call center, all’interno dei quali possono essere applicate soluzioni di assistenza virtuale».

«L’adozione del machine learning non significa che avremo macchine pensanti. Il pensiero è altro e non appartiene alle macchine. Tuttavia, avremo macchine in grado di suggerire soluzioni grazie all’analisi di dati di impossibile valutazione da parte dell’uomo. Questa è la frontiera del lavoro umano, un lavoro che sarà caratterizzato da nuove professioni altamente qualificanti il cui valore viene “aumentato” dall’impiego di soluzioni cognitive»


Maurizio Venturi, It architect, Ibm Italia

Secondo Maurizio Venturi, l’effetto più dirompente del ricorso agli strumenti di Intelligenza aumentata sarà la riduzione del tempo necessario agli esseri umani per prendere decisioni. Il lavoro umano trarrà beneficio dal machine learning, cioè dalla capacità automatica delle macchine di imparare come raccogliere e analizzare i dati e come correlarli tra loro al fine prevedere i prossimi valori di una variabile. «L’adozione del machine learning non significa che avremo macchine pensanti. Il pensiero è altro e non appartiene alle macchine. Tuttavia, avremo macchine in grado di suggerire soluzioni grazie all’analisi di dati di impossibile valutazione da parte dell’uomo. Questa è la frontiera del lavoro umano, un lavoro che sarà caratterizzato da nuove professioni altamente qualificanti il cui valore viene “aumentato” dall’impiego di soluzioni cognitive» spiega a Linkiesta.

Alcune professioni spariranno, altre saranno trasformate. Basti pensare ai programmatori di software “tradizionali”, che dovranno imparare a sviluppare utilizzando metodologie e piattaforme molto più intuitive e semplici, che permettono inoltre il “riuso” di funzionalità già create e rese disponibili nella forma di servizio. E dovranno inoltre essere capaci di sviluppare algoritmi di correlazione dei dati e di “addestrare” le macchine. Molte sono le nuove competenze richieste per estrarre valore dai dati, generarne di nuovi per creare informazioni. «Per capire la portata di questo fenomeno è sufficiente pensare a tutte le nuove competenze portate dall’Internet of Things e dalla sempre maggiore integrazione fra fabbrica (Operation Technology) e informatica (Information Technology) che avviene nell’Industria 4.0».

A livello sistemico, invece, l’intelligenza aumentata consentirà di creare forti sinergie nel territorio tra aziende private e organizzazioni pubbliche, Università e scuole di vario ordine e grado. In questo senso l’Alternanza Scuola Lavoro, con i protocolli di intesa siglati tra grandi aziende e Miur e le convenzioni tra aziende e scuole, rappresentano un primo ottimo passo avanti in questa direzione. Come ricorda Venturi, proprio il ricorso all’Alternanza Scuola – Lavoro ha consentito a IBM di poter coinvolgere a partire dal 2016 circa 100 scuole distribuite su tutto il territorio nazionale per un totale di oltre 3.500 studenti. Affinchè una solida cultura digitale possa diventare vettore di competenze e occupazione per la generazione futura.

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