Più robot, meno lavoro? Falso, anzi: senza intelligenza umana è impossibile sfruttare la tecnologia

Nell'era dei robot collaborativi, è imprescindibile una rivoluzione culturale per sviluppare le professionalità del futuro e continuare a formare chi già lavora. Questo l'obiettivo di una nuova sezione di SPS IPS Drives, fiera sull’automazione e il digitale nell'industria tenutasi a Parma

GERARD JULIEN / AFP

68000 mq di spazi espositivi, più di 800 espositori e oltre 35.000 visitatori: sono questi i numeri, molto positivi, dell’ottava edizione di SPS IPS Drives Italia, la più importante fiera sull’automazione e il digitale nell’Industria organizzata da Messe Frankfurt Italia a fine maggio.
Cuore pulsante della Fiera, intorno al quale si sono snodati numerosi workshop, convegni scientifici e tavole rotonde, è stato il piano Industria 4.0, di cui SPS Italia è stata tra le prime realtà in assoluto a parlarne realizzando un percorso educativo per il settore manufatturiero.
Nata nel 2011 come vetrina per i big players per presentare la propria offerta per la digitalizzazione e l’industria connessa, nel corso delle ultime edizioni la Fiera ha affiancato alle finalità merceologiche degli espositori attività di natura scientifica e consulenziale. Proprio in quest’ottica sono state introdotte, nell’edizione appena conclusasi, 3 importanti novità. Da un canto è stato studiato un percorso di Digital Trasformation, attraverso la delineazione – assieme ad aziende del settore – di progetti di automazione avanzata e robotica nell’area “Know How 4.0”, già avviata con successo nel corso dell’edizione del 2017.
Dall’altro canto, è stato inaugurato il Digital district, un’area dedicata ai big player digitali (quali Microsoft; IBM, SAP, et alia) e alle aziende produttrici di software industriali i quali hanno potuto esporre i loro progetti e organizzare workshop su tema cloud, cybersecurity e software.
A completamento delle novità 2018, è stato lanciato un segmento molto interessante e innovativo, dedicato alla Formazione nell’area “Fare cultura 4.0”: la sfida di Industria 4.0, infatti, non si risolve esclusivamente nell’attuazione di una rivoluzione tecnologica, ma è imprescindibile da una “rivoluzione culturale” che sarà in grado di sviluppare le professionalità del futuro e dare nuovi stimoli e nuove competenze a chi è già occupato e ricopre posizioni decisionali.
Se, infatti, nell’era 4.0 le tecnologie sono importanti, i veri elementi abilitanti di innovazione sono gli individui con le loro competenze. In un momento in cui la robotica è divenuta “collaborativa”, è necessario – come ha spiegato Francesca Selva, vice presidente marketing & events di Messe Frankfurt Italia – che vi sia sempre un individuo preparato e dotato di una forte flessibilità mentale per poter coordinare i robot che non sono sostitutivi dell’uomo, ma a lui complementari.

Nella filosofia di Industria 4.0, infatti, l’elemento chiave che consente di trasformare in valore reale le tecnologie abilitanti della fabbrica digitale è l’uomo: senza la conoscenza dei processi aziendali e l’intelligenza creativa, sua indiscussa prerogativa, è impossibile sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. La capacità dell’uomo di leggere e interpretare le informazioni e l’intelligenza messa in circolo dai sistemi artificiali è infatti indispensabile per trasformare la tecnologia, per sua stessa natura “asettica” e neutra, in valore utile per agire e prendere decisioni

Proprio la centralità dell’Uomo rispetto alla tecnologia è stato uno dei leit motiv dell’edizione 2018 di Sps Italia. Nella filosofia di Industria 4.0, infatti, l’elemento chiave che consente di trasformare in valore reale le tecnologie abilitanti della fabbrica digitale è l’uomo: senza la conoscenza dei processi aziendali e l’intelligenza creativa, sua indiscussa prerogativa, è impossibile sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. La capacità dell’uomo di leggere e interpretare le informazioni e l’intelligenza messa in circolo dai sistemi artificiali è infatti indispensabile per trasformare la tecnologia, per sua stessa natura “asettica” e neutra, in valore utile per agire e prendere decisioni.
Sul tema della collaborazione nell’industria 4.0 si sono confrontati, in un dibattito condotto da Alessandro Gasparetto, docente di Meccatronica presso l’Università degli Studi di Udine, alcuni dei più importanti player del comparto: Michele Pedretti, Business Development Manager ABB, Marino Crippa, Head of Sales Digital Factory Bosch Rexroth Italia, Alberto Pellero, Director Strategy & Marketing Division Industries KUKA, Marco Filippis, Product Manager Robot Div. Factory Automation Mitsubishi Electric Europe e Massimo Proverbio, Robotics Account Manager Omron Electronics.
Con loro anche Domenico Appendino, Presidente SIRI – Associazione Italiana di Robotica e Automazione che ha delineato il quadro di riferimento entro cui si muove l’interazione Uomo – macchina nel settore dell’automazione industriale. “Se è pur vero che alcune attività industriali si svolgeranno esclusivamente grazie alla robotica, e se alcuni lavori – i più pericolosi e usuranti per l’uomo – saranno sostituiti dalle macchine, è pur vero che alla distruzione di alcuni posti di lavoro si contrapporrà la nascita di nuove professioni, soprattutto “high skilled”, come la programmazione, la supervisione e il mantenimento dei robot. I numeri, aggiornati al 2016, delineano un quadro molto interessante che mostra una seconda giovinezza della robotica industriale che, grazie alle macchine collaborative, ha portato a una nuova crescita. Dopo un forte incremento delle vendite fino agli anni Duemila, il mercato sembrava avere subito una frenata. A far tornare florido il comparto, però, sono stati i costi più bassi e l’introduzione dei robot collaborativi, molto più flessibili, che hanno permesso una maggiore integrazione tra uomo e macchina”, ha dichiarato il dottor Appendino nel corso della tavola rotonda.

Sembra dunque chiaro che sostenere, infatti, che l’adozione di robot industriali implica la disoccupazione è errato: secondo le statistiche di IFR, i Paesi con il più basso tasso di disoccupazione sono quelli che hanno il maggior numero di robot installati. Più tecnologia, infatti, implica crescita economica, e più crescita implica – a sua volta – più lavoro. Se un’azienda, dunque, rifiuta l’adozione della tecnologia, sarà destinata a chiudere i battenti

Sembra dunque chiaro che sostenere, infatti, che l’adozione di robot industriali implica la disoccupazione è errato: secondo le statistiche di IFR, i Paesi con il più basso tasso di disoccupazione sono quelli che hanno il maggior numero di robot installati. Più tecnologia, infatti, implica crescita economica, e più crescita implica – a sua volta – più lavoro. Se un’azienda, dunque, rifiuta l’adozione della tecnologia, sarà destinata a chiudere i battenti. L’automazione e la robotica, dunque, migliorano la produttività delle aziende, che devono assumere più persone per stare al passo. Accade anche che le aziende facciano automazione per salvare posti di lavoro, anzi oggi è quasi la regola: se non ci si automatizza si perde in competitività e si rischia di soccombere sotto i colpi dell’innovazione.
Tesi, queste, confermate anche da uno studio di Gartner, in cui si stima che entro il 2020 le soluzioni collegate all’AI elimineranno circa 1.8 milioni di posti di lavoro, legati in particolar modo a compiti ripetitivi e di basso valore aggiunto. A questa perdita di posti di lavoro corrisponderà, tuttavia, la creazione di 3,2 milioni nuove posizioni lavorative che in parte si collocheranno nella fascia delle posizioni perse, in parte si apriranno per personale tecnicamente molto preparato e di management.