La battaglia per i diritti delle donne sembra aver ricevuto l’ennesima doccia fredda. L’opinione pubblica si è nuovamente scagliata contro l’attrice e regista italiana di fama internazionale Asia Argento, una delle prime donne dello spettacolo a denunciare il caso del produttore cinematografico Harvey Weinstein, travolto da uno scandalo a pioggia per molestie sessuali, partito dalle rivelazioni del New York Times e in grado di scatenare un effetto domino di denunce senza fine. Da questo scandalo nacque il movimento #MeToo, attraverso cui tantissime donne hanno scosso la rete raccontando le loro storie di violenza, aprendo una strada che univa grandi celebrità a persone comuni. Lo stesso giornale che rivelò i dettagli del caso Weinstein, il New York Times, ha però ugualmente pubblicato i documenti che confermerebbero l’accordo raggiunto lo scorso ottobre tra la Argento e il musicista più giovane di vent’anni Jimmy Bennett che sostiene di essere stato oggetto di violenza sessuale da parte dell’attrice quando era ancora minorenne. 380 mila dollari la cifra pattuita per chiudere tutto con il silenzio.
Eppure, qualcosa non torna, e i dati sui femminicidi lo raccontano meglio e i primi 6 mesi del 2018 testimoniano una nuova impennata: sono infatti già 44 le donne uccise dall’inizio di gennaio alla fine di giugno, con un aumento percentuale del 30% rispetto al 2017. Lo ricorda Laura Boldrini, ex presidente della Camera, oggi impegnata in una dura opposizione al governo Lega – M5S, nonché in prima fila nella battaglia per i diritti delle donne: «Ho lottato per un paese meno retrogrado e meno maschilista – afferma a Linkiesta -. Durante la mia presidenza, il 25 novembre del 2017, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, invitai 1400 donne a Montecitorio per riuscire a dare voce alle nostre istanze. Vittime di violenza, fisica e psicologica, raccontarono le loro storie e la paura di non essere credute – dal partner, dalla società, dalle autorità e nemmeno in tribunale. Ho voluto quella giornata perché tante altre donne potessero prendere la forza di reagire».
«Siamo al 49% di occupazione femminile, siamo penultimi in Europa, dopo di noi solo la Grecia, e non hanno ritenuto di dover trovare un modo per rilanciare misure che ne favoriscano la crescita. Sembra di stare in Afghanistan, per questo lo chiamo il governo del cambiamento talebano. Il cambiamento passa per un maggior peso sociale delle donne»
Non si ferma Laura Boldrini, nemmeno di fronte a un riflusso anti-femminista che ha portato la sindaca di Roma, la pentastellata Virginia Raggi, a revocare la concessione per l’uso dello stabile in cui era ospitata dal 1987 alla Casa Internazionale delle Donne, luogo simbolo del femminismo mondiale e di centri antiviolenza e di rifugio per le donne. E nemmeno di fronte a un governo che sembra aver relegato le donne a ruoli marginali, soffocandone le istanze. Governo nel quale – giova ricordarlo – su 63 esponenti, solo 11 sono donne: «Io non mi aspetto nulla da questo governo. Si è caratterizzato per oscurantismo, sin dalle prime ore, sin dal contratto che ha legato le due parti. Erano stanze piene di uomini, dalle nomine, agli organi di giustizia, alla RAI. Nel decreto dignità, che doveva essere il decreto del riscatto, non esiste una sola riga che riguardi l’occupazione femminile. Siamo al 49% di occupazione femminile, siamo penultimi in Europa, dopo di noi solo la Grecia, e non hanno ritenuto di dover trovare un modo per rilanciare misure che ne favoriscano la crescita. Sembra di stare in Afghanistan, per questo lo chiamo il governo del cambiamento talebano. Il cambiamento passa per un maggior peso sociale delle donne, un numero maggiore di donne nei posti chiave. In questo caso è invece lo svilimento e la riduzione. Se vediamo anche i numeri, noi siamo più vicini alla Afghanistan che alla società francese e spagnola in termini di donne al vertice: in Francia la presenza femminile è al 58%, in Afghanistan al 9%, quella italiana è al 17%. Stiamo perdendo decenni di battaglie di evoluzione».
Contro l’ex presidente della Camera si sono avvicendate fake news dagli esperti delle politiche dell’odio per delegittimarne l’operato, dall’uso del linguaggio, al ruolo della donna, alla costruzione di un vero e proprio “nemico buonista” da combattere: «Le battaglie per il corretto uso del linguaggio vanno portate avanti – rivendica ancora Laura Bordini -. La resistenza passa anche da come si usa culturalmente la lingua. Declinare i ruoli al femminile, per esempio, è doveroso. Dicono che non si è mai fatto, ma proprio per questo bisogna cominciare: cambia la società, deve cambiare anche l’uso del linguaggio. Prima di tutto sono una donna e voglio essere riconosciuta in quanto tale, e voglio che si ammetta, anche nel linguaggio, la possibilità di donne al vertice. Le fake news su questo, come su qualsiasi altra cosa, la disinformazione e la facilità di semplificazione sono dannose per la salute della società intera. Per questo non mi fermo. Sto lavorando ad una proposta di legge che vuole promuovere e rilanciare l’occupazione e l’imprenditoria femminile: unifica tutti i bonus – bebe e maternità – e li rende permanenti ancorandoli al reddito, prevede sgravi contributivi per le imprese che danno lavoro alle vittime di violenza, incentivi per le donne che vogliono fare impresa, misure contro il gap salariale e sanzioni verso le aziende che lo attuano, misure premiali per chi abbatte ogni forma di discriminazione salariale e, ovviamente, misure per combattere le molestie sessuali nei nuovi di lavoro. Giro l’Italia, incontro moltissime donne, le ascolto, mi aiutano a costruirla. Uscire dal tunnel è possibile se lo si fa insieme».