La data del 25 novembre è stata designata come la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” tramite la risoluzione delle Nazioni Unite del 17 dicembre 1999.
Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio del 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime dittatoriale che per oltre un trentennio tenne nell’arretratezza e nella violenza la Repubblica Dominicana.
Il 25 novembre 1960 le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare e condotte in un luogo nascosto dove furono torturate e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. L’assassinio delle sorelle Mirabal è ricordato come uno dei più truci della storia. Pertanto con la Risoluzione del 1999, l’ONU ha invitato tutti i governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative a realizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica proprio nel giorno del 25 novembre.
Purtroppo il problema della violenza di genere è diventato talmente presente e quotidiano che parlarne un solo giorno all’anno è del tutto insufficiente.
La violenza sulle donne o violenza di genere, fuori e dentro la famiglia, esiste da sempre, è un problema sociale che ha meritato attenzione però solo dalla fine degli anni ’60. Fino ad allora la violenza subita dalla donne era considerata una questione privata e, per quanto riguarda la violenza intrafamiliare, spesso considerata come relegata alle sole coppie problematiche o socialmente disagiate.
La violenza di genere è quindi una forma di violenza che presenta delle dinamiche del tutto peculiari; prima di tutto perché chi esercita violenza è una persona alla quale si è legati da un sentimento di affetto e di fiducia. Questo rende senz’altro più difficile interrompere il ciclo della violenza ed uscirne. Non è un caso che il numero delle denunce sia notevolmente inferiore rispetto alla portata effettiva del fenomeno. Se si paragonano i dati raccolti dalle questure con quelli rilevati dai centri antiviolenza si notano notevoli differenze.
Gli ultimi dati presentati dall’Istat circa il fenomeno della violenza subita dalle donne ci dicono che, nel nostro Paese, mentre sono generalmente in calo gli omicidi, aumenta il numero delle donne uccise, in prevalenza da partner o ex partner.
Nella maggior parte dei casi, i numeri vanno a contraddire quella che è l’immagine stereotipata che in molti hanno, circa questo fenomeno.
Sono 6 milioni e 788 mila le donne, con un’età compresa tra i 16 ed i 70 anni, che nel corso della loro vita hanno subito qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Per violenza fisica vanno intesi tutti quegli atti volti a ledere l’integrità della donna, come schiaffi, pugni, morsi, spinte, ustioni … Ma devono esser considerate forme di violenza fisica, anche le azioni lesive rivolte agli animali domestici ed anche tutti gli atti di danneggiamento e di rottura degli oggetti di proprietà della donna o dei bambini/e e dell’arredo domestico.
Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici.
Anche per quanto riguarda la violenza sessuale, le statistiche sfatano i luoghi comuni: gli stupri vengono esercitati da partner nel 62,7% dei casi, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da conoscenti. Quindi solo una percentuale minima delle violenze sessuali viene commessa da soggetti sconosciuti alle donne. Anche le violenze fisiche sono commesse in prevalenza da partner o ex.
Oltre a forme di violenza fisica e sessuale, le donne subiscono dai loro partner anche forme di violenza psicologica ed economica.
Sono forme di violenza psicologica tutti quei comportamenti volti a destabilizzare la personalità della donna per renderla più vulnerabile e quindi più soggetta al controllo da parte del partner (umiliare, svilire, insultare, minacciare …). Rientrano nella violenza economica invece tutti quei comportamenti agiti con lo scopo di far perdere alla donna la propria indipendenza economica, in modo da renderla anche praticamente dipendente dal proprio partner.
La violenza maschile contro le donne appare quindi, ancora, un fenomeno assolutamente persistente e fortemente radicato nella nostra cultura, sopratutto quando questa influenza il nostro modo di strutturarci come uomini e donne e di entrare in relazione.
È inevitabile constatare che ancora oggi, nel 2018, una donna che tenta di autordeterminarsi, interrompendo una relazione maltrattante, rischia per questo la propria vita. In dinamiche di relazioni in cui l’uomo cerca di imporre, fino all’ultimo, la sua volontà utilizzando la forza per ripristinare un ordine di potere.
Nel corso degli anni però, sono sempre di più, le organizzazioni che si sono create, sul territorio nazionale, a tutela delle donne che cercano di uscita dalla violenza. I centri antiviolenza assumono un ruolo centrale nella strutturazione, con la donna, di un piano di uscita dalla violenza che sia volto alla sua tutela e a quella dei minori, senza intraprendere azioni che la stessa non vuole o non condivide. Per la donna, poter venire in contatto con le operatrici di questi centri può rappresentare il momento di svolta dalla violenza, per questo è fondamentale passare loro il messaggio che, nell’intraprendere questo percorso, non sono sole.
Il primo passo è parlarne e far emergere la violenza subita, senza vergogna e sensi di colpa o di responsabilità circa quanto si è subito, avendo la ferma consapevolezza che non esiste modo migliore di tutelare i propri figli/e se non portandoli via da un contesto violento.
È importante quindi ricordare che chiamando il 1522, numero nazionale antiviolenza ed antistalking, gratuito e con garanzia di anonimato si ha la possibilità di essere messe in contatto con il centro antiviolenza più vicino al proprio luogo di residenza.
*Criminologa