Metafore del presenteAltro che Jonathan Coe, il vero romanzo sulla Brexit l’ha scritto Orwell 80 anni fa

Coe è il classico perbenista leccato, che non sa nemmeno usare gli aggettivi: lasciate stare “Middle England”. A Orwell, invece, basta raccontare uno che torna nei luoghi della sua infanzia (il libro è “Una boccata d'aria”) per rendere la metafora perfetta dell'uscita del Regno Unito dall'Unione.

Gira per le librerie un libro di fango inglese, il titolo è Middle England e l’autore si chiama Jonathan Coe, uno che manco ha scritto la metà dei libri che valgano quelli di McEwan o Barnes (mica sono defunti! scrivono da sessantenni pimpanti). Il libro è propinato da Feltrinelli e manco a dirlo vi aiuterà a capire 1. le seghe mentali di una coppia, lui energumeno che vota Brexit – lei sofisticatina europea che vota per stare nella UE; 2. la grande pippa del loro terapeuta, il quale li porta a concentrarsi sulla politica perché è proprio questa la bastardona che ha fatto scoppiare i due citrulli variamente assortiti nella midlle class; 3. e non meno importante – che tanto vale rileggersi due scozzesi purosangue come Orwell e Stevenson, sepolti nell’ossario e nell’incenso, anziché queste fregnacce di Coe.

Poi è chiaro, se cercate di farvi belli per la dama a spasso che legge solo Feltrinelli e vi crede un ganzo se le parlate di Coe, fate vobis.

Coe è il classico perbenista leccato. Vent’anni fa ci ha deliziato con La casa del sonno. Io un libro lo voglio dissezionare. Guardate come minchia scrive questo Coe (e mi perdoni Stevenson così candid se uso un turpe linguaggio a lui sconosciuto, magari Orwell gradisce il piglio giornalistico). Questo era l’incipit allegorico della vaccata, anche quella rigorosamente Feltrinelli: “Nota. I capitoli dispari sono ambientati per la maggior parte negli anni 1983-4. I capitoli pari sono ambientati nelle ultime settimane del giugno 1996”. Insomma il classico beota che si crede Joyce redivivo ma non vale nemmeno un nono della Woolf.

Altro florilegio degno di un giallucolo da stazione mal scritto: “Sacrificò i soldi della cena di una settimana e prese un taxi, fu a Ashdown in un attimo e restò a letto tutto il pomeriggio, con l’avvilimento che non accennava a diminuire”. Poi è chiaro, anche all’estero scrivono male, come se Dickens fosse ancora di là da venire – gialli in stile magistrato, quelli che piacciono ai colti del nostro Bel Paese. Ma all’estero la regola è la scrittura buona. Vedere Barnes per credere. Oppure leggere direttamente il decalogo di Stevenson al fondo di questo articolo.

Voglio dire. Se Coe non sa usare gli aggettivi, vale la pena di leggerlo? A me fa venire i brividi: “Partì a velocità irresponsabile dall’uscita del campus; diede appena un’occhiata al retrovisore e ci vide la sagoma di Robert ancora fermo al centro del parcheggio, imbambolato, derelitto…Terry continuava a ruminare queste domande soggiacendo a un’illecita tazza di caffè nel ristorante deserto”.

Io francamente, se leggo che in Middle England il terapeuta per la coppia parla così: “Quel che mi interessa nelle vostre risposte è che non avete tirato in ballo la politica. Come se il referendum non fosse una cosa europea. Forse c’è sotto qualcosa più personale, fondamentale? Ma allora la cosa diventa difficile” – sic rebus stantibus, io non lo leggo.

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