Un politico a Bruxelles Ecco come se l’è cavata Gentiloni al Parlamento europeo

L’ex presidente del Consiglio ha smussato gli attacchi degli avversari e ha vinto la guerra psicologica che prima di lui aveva fatto parecchie vittime. C'è riuscito sfiancando i deputati più scettici dicendo poco e restando sul vago. Poi è arrivato Berlusconi

ARIS OIKONOMOU / AFP

«Sei nervoso? Dovresti esserlo». Inizia con uno sfottò l’audizione di Paolo Gentiloni come commissario all’Economia. A fargli capire che aria tira, pochi minuti prima dell’inizio, ci ha pensato il “falco” tedesco del Ppe Markus Ferber, uno dei venticinque eurodeputati della commissione economia e finanze che ha rosolato a fuoco lento l’ex presidente del Pd per due ore e 45 minuti. «Sono impaziente», risponde Gentiloni con una risata nervosa. Si vede. È arrivato quindici minuti prima del previsto, quando la sala era ancora vuota e dentro si aggiravano solo gli inservienti assieme a qualche giornalista mattiniero. Un funzionario del Parlamento europeo giura di averlo visto chino a studiare su dei documenti durante tutto il volo che lo ha portato da Roma a Bruxelles. Gli esami non finiscono mai, neanche per un ex presidente del Consiglio.

L’audizione dei commissari non è una passerella per politici fortunati, ma una prova psicologica per testare le conoscenze sulla materia. E molti eurodeputati vogliono capire se questo italiano che ha fatto il ministro degli Esteri e il capo del governo si trova a suo agio a parlare di temi economici. A domande tecniche gli eurodeputati pretendono risposte precise da dare in meno di due minuti. O si viene rimandati a settembre, pardon a metà ottobre, in una nuova audizione scritta. Prima di Gentiloni è successo ad almeno tre aspiranti commissari considerati impreparati come il polacco Janusz Wojciechowski (Agricoltura) o troppo vaghi nelle risposte, come la francese Sylvie Goulard (Mercato interno) e l’estone Kadri Simson (Energia). Addirittura i due aspiranti commissari provenienti da Romania e Ungheria, Rovana Plumb e Laszlo Trocsanyi, sono stati ritenuti inadatti dalla Commissione giuridica dell’Europarlamento per «conflitti di interesse». Non era mai successo.

Prima di parlare, Gentiloni guarda in fondo alla sala. C’è la gigantografia di Alcide De Gasperi ritratto sulla copertina del Time nel 1953 che lo fissa come gli occhi del dottor T. J. Eckleburg nel manifesto pubblicitario del Grande Gatsby. Siamo a Bruxelles, nella sala del Parlamento europeo dedicata all’ex presidente del Consiglio italiano, chiamata Jan2Q2 da funzionari europei, poco romantici per definizione. Come De Gasperi nella conferenza di pace dopo la Seconda guerra mondiale, anche Gentiloni si trova da solo a convincere molti scettici. Davanti ha una platea di sessanta eurodeputati della commissione Econ, a cui si sono uniti i colleghi delle commissioni budget e occupazione. Accanto a Gentiloni non c’è neanche un assistente parlamentare che possa dargli una mano a districarsi tra flessibilità, output gap carbon tax, web tax, Bicc e articolo 116 del Tfue.

Gentiloni fa la prima dichiarazione in italiano, poi solo risposte in inglese e francese. Qualcuno in sala mormora perché l’ultimo che ha fatto così è stato l’unico commissario italiano bocciato, Rocco Buttigilione che nel 2004, per dimostrare di essere poliglotta riuscì a difendersi poco e male dagli eurodeputati che lo accusavano di aver detto delle frasi omofobe. Il primo giro di domande spetta ai capigruppo, chiamati in gergo “coordinatori”, saranno loro a decidere dopo l’audizione se promuovere l’ex presidente del Consiglio italiano. Per questo ogni eurogruppo inizia con la propria ossessione. Feber del Ppe chiede se farà fare tanto deficit all’Italia quando si discuterà la legge di bilancio; Jonás Fernández dei socialisti domanda come cambierà il patto di stabilità, Luis Garicano dei liberali pretende che la lotta alla disoccupazione non diventi un sussidio, Sven Giegold dei verdi esige un pacchetto Green e Antonio Maria Rinaldi di Identità e democrazia reclama di togliere i vincoli più stringenti per l’Italia, come l’output gap. La deputata di estrema sinistra Manon Aubry chiede se l’aver posseduto centomila euro di azioni in Amazon lo renderà un agnellino con i giganti del Web quando si tratterà di tassarli.

Accontentare tutti vorrebbe dire mentire, promettere misure specifiche vorrebbe dire essere ricattabile, per questo Gentiloni fa quello che sa fare meglio: politica. Non prende posizioni nette, chiarisce quali sono le sue competenze, promette mediazione e non chiude tutte le porte. Le parole chiave sono fiducia e dialogo. «Se sarò confermato» dice all’inizio di ogni risposta. Sa che è il momento di mostrare il collo per evitare di essere azzannato. Dopo il primo giro le domande si fanno sempre più dettagliate. Gli eurodeputati non vogliono promesse vaghe ma risposte concrete sul punto. Qualcuno si spazientisce. «Concordo sui principi, ma tutto sta nei dettagli», gli ricorda Garicano. «Lei non è il commissario per la cultura, ma dell’Economia, servono risposte più concrete», ricorda in modo sarcastico il tedesco Siegfried Muresan. Sussidi o prestiti alle nazioni per sostenere la lotta alla disoccupazione? Come intende armonizzare il sistema fiscale? Quanto tempo ci metterà a presentare una web tax? I proventi andranno nelle casse dei governi nazionali o nel budget europeo?

Alla seconda ora di audizione, nelle ultime file gli assistenti parlamentari già guardano i voli per il ritorno a casa. Il brusio si è fatto silenzio e viene rotto solo dall’ingresso a sorpresa di Silvio Berlusconi in Aula. C’è chi si alza per fargli una foto, chi per prendere da bere o un po’ d’aria. Gentiloni non può. Le risposte di Gentiloni diventano più lunghe, i riflessi più lenti. «Non so che sogno ha fatto stanotte, signor Gentiloni, ma i bilanci degli Stati Ue sono 27, non 28,» riprende senza pietà José Manuel Garcìa Margallo Y Marfil lo scivolone dell’ex presidente del Consiglio che dà per scontata la Brexit. «Scusi può ripetere il primo terzo della domanda? Ho messo il microfono in ritardo», dice Gentiloni riferendosi all’auricolare.

All’ennesima risposta chiara, ma generica alcuni del Ppe si mettono a parlare tra loro, lo stesso fanno tre parlamentari verdi che si riuniscono per concordare una strategia. Escono due tweet di due popolari tedeschi. Il primo è di Ferber: «Per due ore Gentiloni non ha risposto a nessuna domanda. È davvero un politico, ma non è abbastanza per diventare commissario». L’altro di Muresan: «Dopo due ore non sappiamo da che parte sta». Sembravano bombe atomiche per il futuro di Gentiloni e invece erano solo dei gavettoni. I coordinatori si riuniscono e dopo neanche cinquanta minuti promuovono l’italiano. Gentiloni sarà il commissario all’Economia.

Il tentativo del Ppe era quello di rimandare l’ex presidente del Consiglio a una nuova audizione scritta per usarlo come ostaggio politico. In cambio della sua conferma avrebbe chiesto agli altri gruppi politici di non bocciare il candidato commissario dei popolari Margaritis Schinas titolare del portafoglio “Stile di vita europeo”, considerato uno di quelli più in bilico. Una manovra alla House of Cards, ma senza i numeri. Solo la sinistra estrema e i sovranisti hanno votato in modo contrario. Tutti gli altri si sono convinti delle qualità di Gentiloni anche grazie alla preziosa arte di mediazione fatta da Irene Tinagli, presidente della Commissione Econ. E così in nell’Aula rimane solo Berlusconi a leggere dei documenti per l’audizione successiva e a fare selfie con i pochi coraggiosi che non hanno paura di disturbarlo. Tra i deputati del Ppe si registrano ancora dei malumori, ma per Gentiloni il peggio è passato. Garicano dei liberali chiarisce: «È stato vago nelle risposte, ma ha dimostrato di essere in grado di mediare», in fondo non è dai particolari che si giudica un commissario europeo.

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