Jovanotti aveva promesso che non avrebbe mai fatto un disco di cover né un concept album, ecco quindi il primo concept album di cover di Jovanotti, Lorenzo sulla Luna, pubblicato oggi, anticipato a luglio da Luna di Gianni Togni e dedicato interamente al satellite naturale della Terra. Jovanotti aveva anche teorizzato che i dischi dovevano essere come dei juke box, esplosioni di energia e di idee e di tutto, ma ecco che è già arrivato alla terza collaborazione con il più minimalista produttore della Terra: Rick Rubin, il geniale traghettatore del rock nell’era hip hop e viceversa.
Lorenzo è così, cambia idea, senza rigettare la precedente, semmai facendola evolvere e laddove cambiare idea è segno di maturità, non di insicurezza, oltre che antidoto al logorio della vita moderna, come il Cynar. Così, dopo il fantasmagorico successo dei Jova Beach Party e delle fiumane di persone confluite a ballare e a parteggiare sulle coste e in montagna e pure a Linate, anziché celebrarsi con un disco costruito intorno a quell’evento irripetibile, Lorenzo si è riaffidato a Rubin, a Los Angeles, dove forse per gioco, o per uso personale, era andato a registrare undici canzoni lunari al modo più indie possibile, acustiche e ridotte all’osso.
Un suono così essenziale che quando comincia il primo pezzo dell’album, Notte di luna calante di Domenico Modugno, si fatica a riconoscere la solitamente inconfondibile voce di Lorenzo e anche la musica di Modugno, perché l’architettura sonora sembra quella di un brano di Will Oldham o di Bonnie “Prince” Billy, che poi sono la stessa persona, solo chitarre, falsetto e coro celestiale in sottofondo.
Nella raccolta non c’è nessuna dark side of the moon, nessuna fly to the moon, niente passeggiate con i Police o balli con Van Morrison o danze con il cavaliere del chiaro di luna e i Genesis; niente raccolti con Neil Young, niente lune su Bourbon street con Sting
Nella raccolta non c’è nessuna dark side of the moon, nessuna fly to the moon, niente passeggiate con i Police o balli con Van Morrison o danze con il cavaliere del chiaro di luna e i Genesis; niente raccolti con Neil Young, niente lune su Bourbon street con Sting, impronte dei Television e nemmeno la luna rosa di Nick Drake, quella nera dei Wilco, quella bianca dei White Stripes o quella blu di tutti quanti. Non ci sono le canzoni lunari dei Beatles, dei Rolling Stones, dei King Crimson, dei Talking Heads, dei Radiohead, di Janis Joplin, sarà per un’altra volta, ma davvero tutti hanno scritto canzoni sulla luna, compreso Lorenzo: tanto che due delle cover comprese nella raccolta sono sue, Chiaro di luna e Luna di città d’agosto, e diventano tre se si considera anche la splendida La luna piena scritta (il testo) per Samuel dei Subsonica che qui rivive alla grande in versione west coast.
La versione originale di Chiaro di Luna era in Oh, Vita!, il disco di Jovanotti prodotto da Rubin, dove era già super asciutta rispetto agli standard di Jova, ma l’autocover di Lorenzo sulla luna è ancora più minimale, decisamente più lenta e compassata, col pianoforte e gli archi, anziché con la chitarra acustica dell’originale. Lorenzo si è confrontato con Ornella Vanoni, Accendi una luna, con Fred Buscaglione, Guarda che luna, con i Tre allegri ragazzi morti, La faccia della luna, con Giorgio Consolini, Luna rossa, cantata in napoletano senza l’ausilio di un tutor ma, dice, «quel pezzo spacca anche in russo».
Poi ci sono due piccoli capolavori, L’ultima luna di Lucio Dalla e Notte in Italia di Ivano Fossati, pericolosissimi da affrontare proprio in quanto canzoni perfette così come le conosciamo
Poi ci sono due piccoli capolavori, L’ultima luna di Lucio Dalla e Notte in Italia di Ivano Fossati, pericolosissimi da affrontare proprio in quanto canzoni perfette così come le conosciamo. Con modestia, Jovanotti dice di averle interpretate come se le avesse fischiettate tra sé e sé, a casa, di notte, sforzando la memoria e riportando in modo nudo e crudo i suoi ricordi a un Rubin che non le conosceva. In realtà sono diventate due canzoni nuove, contemporanee, internazionali e ancora più belle delle originali, in particolare quella di Dalla con la chitarra acustica a condurre il ritmo alt-country e quella elettrica con reverbero analogico e moog a rendere psichedelico il viaggio tra la Via Emilia e il West.
Lorenzo sulla Luna è un piccolo grande disco vintage, italiano e americano, senza i giochi d’artificio del Jova Beach Party, ma una perfetta pausa di riflessione dopo i favolosi bagordi estivi con seicentomila persone in riva al mare. Dicono i suoi che «quando tutto sembra che vada in una direzione, quando il successo incorona una sua idea e quando il prossimo passo sembra scritto, ecco che lo trovi da un’altra parte. Lorenzo non si ferma mai e non si accomoda mai sulle certezze, cercando sempre spunti nuovi per alimentare il suo percorso artistico».
È così. Ed è probabile che mentre noi ci godiamo Lorenzo indie, per una volta Jova non alla consolle ma in cameretta, in realtà lui stia già progettando una qualche nuova figata impossibile anche solo a pensarci, tipo un Jova Beach Party questa volta da realizzare, be’, ovvio, sulla Luna.