Ieri all’evento di Bernie Sanders a Carson City, la capitale dello Stato del Nevada dove tra pochi giorni si svolgerà il terzo round delle primarie democratiche, c’era anche il sindaco di New York, Bill de Blasio. «Bill de Blasio sa che l’unico modo in cui possiamo sconfiggere Donald Trump è unire persone di ogni estrazione in un programma che parli delle esigenze delle famiglie che lavorano», ha affermato il senatore del Vermont, campione dell’ala radicale del partito. E ha aggiunto: «Bill è un esempio lampante delle “idee radicali” intorno alle quali si può unire il Partito Democratico». Non solo idee, però. Bill de Blasio porta in dote anche una solida base di sostegno tra gli elettori afroamericani a New York e rimane uno dei pochi democratici progressisti ad aver conquistato un’alta carica elettiva grazie a una composita coalizione di elettori di etnie diverse.
«I newyorkesi conoscono fin troppo bene il danno causato dalla xenofobia, dal bigottismo e dall’incoscienza di Donald Trump. E Bernie – dice de Blasio – è il candidato giusto per affrontarlo e abbatterlo. Ho chiesto un’agenda audace e progressiva: esattamente quella che il senatore Sanders promuove da decenni. Sono orgoglioso di sostenere un vero leader progressista che combatterà per i lavoratori newyorkesi e le famiglie in tutto il paese». In effetti, la pur risicata vittoria nel New Hampshire, la settimana scorsa, fa del senatore del Vermont il favorito per vincere la nomination presidenziale democratica. Anche perché il campo dei candidati “riformisti” non esprime ancora il candidato capace di “spaccare’” l’ex favorito Biden sembra in caduta libera, l’emergente Buttigieg è ancora da verificare, la senatrice Klobuchar suscita simpatia ma non molto di più. Almeno finora.
«Quattro anni fa Sanders aveva perso il Nevada a vantaggio di Hillary Clinton – spiega Michelle Price, corrispondente da Las Vegas dell’Associated Press – ma questa volta è ben piazzato. Il senatore del Vermont ha messo su una enorme macchina elettorale con uno staff di oltre 250 persone. Grazie a questo supporto ha raggiunto un vasto elettorato nei quartieri ispanici. E i Latinos nel Nevada rappresentano il 29% della popolazione dello Stato. Sanders inoltre gode di un grande consenso nel nord del Nevada e nei campus universitari».
Ma la foto di Sanders e de Blasio insieme a Carson City ha sui dem americani lo stesso effetto della foto di Narni – o, per i più nostalgici, della foto di Vasto – sui riformisti italiani: in vista delle elezioni generali, il fronte populista di sinistra ha il sapore dell’incubo di una sconfitta annunciata. La domanda che in questi giorni assilla i democratici americani, dal gruppo dirigente del partito fino ai commentatori della stampa liberal, è se Bernie Sanders sia un candidato electable, ovvero se sia davvero in grado di competere con Donald Trump per la conquista della Casa Bianca. In più, diversi membri dem del Congresso temono che le chance del partito di vincere il Senato e mantenere il controllo della Camera a novembre siano compromesse dalla candidatura del radicale Bernie.
Con il presidente, infatti, si vota anche per la Camera dei Rappresentanti – che ha durata biennale – e, in alcuni Stati, per il Senato: l’etichetta di “socialista” che Sanders sbandiera con orgoglio e le posizioni estreme su alcune policies controverse – dal Medicare for All al Green New Deal – realizzabili solo con un poderoso inasprimento della pressione fiscale potrebbero respingere gli elettori sia nei distretti ricchi e moderati che nel 2018 avevano consegnato la Camera ai democratici che negli Stati dove la maggioranza è in bilico e i senatori repubblicani sono vulnerabili.
«Sono un orgoglioso capitalista», dice Ben McAdams, deputato dello Utah al primo mandato, rispolverando l’affermazione della veterana Nancy Pelosi, speaker della Camera, in netto contrasto con Sanders. McAdams, per riconquistare il distretto di Salt Lake City, tra i più difficili da difendere per i democratici, ha deciso di sostenere Michael Bloomberg, ex sindaco di New York, ex repubblicano e oggi candidato democratico “centrista”. Un’altra matricola di un distretto contendibile, Tom Malinowski, deputato del New Jersey, spiega che i democratici hanno bisogno di un candidato presidenziale che «non spaventi tutti i ‘futuri ex repubblicani’ più di quanto li spaventa Trump». E, consapevole che la strategia dei repubblicani sarà quella di marchiare a fuoco tutti i democratici con l’etichetta di “socialista”, avverte: «c’è un candidato per il quale questa etichetta non sarebbe una bugia». Dina Titus, deputata del Nevada, dove si vota appunto tra pochi giorni, avverte gli elettori democratici di Carson City che, con Sanders come front-runner, «difficilmente riconquisteremo il Senato».
Non c’è modo, perché tutti saranno macchiati con lo stesso inchiostro del radicalismo. Probabilmente perderemo posti in Aula«. Non per caso, in questo momento, Sanders alla Camera conta sull’appoggio di soli sette rappresentanti democratici provenienti da collegi già considerati sicuri. E così, mentre i Democrats – sia in pubblico che, soprattutto, nell’anomimato – «esprimono un grande nervosismo, i repubblicani si sfregano le mani per il piacere», rivela Alan Fram, corrispondente da Washington dell’Associated Press. Tom Cole, rappresentante repubblicano dell’Oklahoma, già leader del comitato elettorale del GOP della Camera, commenta così la possibile nomination di Sanders: «È il sogno di ogni repubblicano che diventa realtà».
Ovviamente, l’ala più radicale dei Democrats sostiene che le paure intorno a Sanders siano esagerate e che nonostante i tentativi dei repubblicani di marchiare di “socialismo” i democratici, questi ultimi hanno ottenuto una clamorosa maggioranza alla Camera appena due anni fa. «Il consenso di Bernie Sanders tra i democratici è schiacciante« sostiene Sean McElwee, il co-fondatore del think tank progressista Data for Progress. «L’idea che Sanders non sia electable è solo un mito». «I nostri elettori più affezionati non vogliono svendere i loro valori», incalza Rashida Tlaib, democratica del Michigan, una delle giovani matricole radicali che alla Camera incarna le scelte radicali di Sanders. «Per favore, non pensiamo soltanto a convincere gli elettori di Trump e gli indipendenti. Dobbiamo tornare a persuadere i democratici che non si sentono più impegnati». Insomma, i dem più radicali «sardineggiano», contrapponendo l’«erotico romantico« Bernie Sanders all’«erotico tamarro» Donald Trump.
Tuttavia, molti analisti ritengono che la difesa della purezza ideologica e lo spostamento sempre più a sinistra del partito si possano rivelare un boomerang. Se, con il settarismo e l’estremismo dei seguaci di Sanders, dovesse prevalere la sua politica del «tassa e spendi» buona parte della classe media americana potrebbe sentirsi abbandonata e lasciare il campo a Trump. Proprio per questi motivi, Jonhatan Chait del New York Magazine dice che la candidatura di Sanders rappresenta «una follia»: «La maggior parte degli elettori democratici, a differenza della maggior parte dei repubblicani, vuole che il loro partito sia più moderato, non meno, e credono nel compromesso piuttosto che nel conflitto». Come ricorda Chait, nelle primarie del Nevada, il Las Vegas Sun, un quotidiano di chiaro orientamento liberal, ha rivolto ai suoi elettori un appello a non sostenere Sanders mentre la potente Culinary Workers Union ha stigmatizzato il piano Medicare for All del senatore “socialista”.
In questo momento c’è una aperta contraddizione nell’elettorato democratico che ricorda molto le vicende del centrosinistra in Europa e in Italia. Da una parte, secondo un recente sondaggio della Monmouth University, quasi tre quarti degli elettori democratici hanno un’opinione favorevole di Sanders, mentre solo il 20% lo vede negativamente. Dall’altra parte, però, Sanders non sembra il candidato giusto diversi motivi. Per esempio, un recente sondaggio della Cnn lo dà in testa con il sostegno del 27% dei democratici, ma solo il 16% di questi lo considera il miglior candidato per unire il partito. Inoltre, una volta usciti dall’arena delle primarie democratiche, Sanders potrebbe essere penalizzato, nel mare aperto delle elezioni generali, dalle sue idee troppo radicali e dal suo carattere troppo ruvido.
«Quest’anno i democratici sono in gran parte uniti dalla loro ossessione per la sconfitta di Trump», spiega Giovanni Russoniello del New York Times. «Più di tre elettori democratici su cinque, sia nello Iowa che nel New Hampshire, hanno dichiarato di preferire un candidato che potrebbe battere Trump rispetto a uno d’accordo con loro sulla maggior parte delle questioni». E, conferma Russoniello, «sempre nei sondaggi in Iowa e in New Hampshire, proprio tra questi elettori in cerca di un candidato electable, cioè capace di superare Trump, Sanders è finito alle spalle del giovane centrista Pete Buttigieg». Insomma, nonostante la deriva populista di questi anni, sembra ancora valida la regola – in America come in Europa: vedi il caso Corbyn nel Regno Unito – per cui in una competizione elettorale bipolare, specie se su base maggioritaria, come negli Usa, le chance di vittoria del candidato di centro sono maggiori. Buttigieg come Renzi nel 2013-14 allora? O, meglio, come Blair negli anni del New Labour? La partita è appena iniziata.