Un banchetto domenicale per promuovere il No al referendum costituzionale del 29 marzo è un evento raro, in questi giorni di paralisi sociale da coronavirus. Ed è altrettanto raro che qualcuno si prenda la briga di mettere la propria faccia per una posizione che appare impopolare come poche altre.
Così, dopo aver volantinato per il No a Salerno insieme agli attivisti locali di PiùEuropa, abbiamo chiesto ospitalità a Linkiesta per parlare di un’esperienza a suo modo illuminante e preoccupante. In una media città aperta e cortese come Salerno, fermare persone con un volantino in mano è generalmente più facile che a Roma, Milano o Napoli. C’è chi non stringe la mano, scusandosi perché non lo fa ed esorcizzata con una battuta la preoccupazione per il virus, ti ascolta e replica con più attenzione che in una metropoli. In fondo, l’Italia “vera” (quella demograficamente più numerosa, quella socialmente più rappresentativa) la domenica mattina si incontra più facilmente lungo il corso o la via di passeggio di una città o di un paese della provincia italiana, che in un grande centro urbano. Tra chi incrociamo, c’è anche un “partito del buon senso” che ha colto la natura demagogica del taglio dei parlamentari. È oggettivamente una minoranza, persino più corposa di quanto si potesse credere fino a qualche tempo fa, ma (parafrasando Manzoni) se ne sta evidentemente nascosta per paura del senso comune.
Che i Cinque Stelle non abbiano più forza propulsiva, te ne accorgi dal fatto che non sono più loro i proponenti “percepiti” di questa riforma, persino in una realtà dove due anni fa hanno raccolto quasi un elettore su due. Associati ormai alla politica che ha fallito, i pentastellati sono per molti cittadini parte del problema e non più la soluzione. E dunque, la gran parte di chi incontriamo i parlamentari li vuole ridurre, dimezzare o anche abolire completamente, perché non crede che ci sia bisogno di una cosa chiamata Parlamento. I 5 stelle, in quanto parte del potere, sono sputtanati, ma lo sputtanamento delle istituzioni che hanno trasformato da rivolta in ideologia, da desiderio segreto in proposta politica, è oggi il pensiero dominante.
Quando Fabio Buoninconti prova a spiegare che non è una scelta saggia tagliare di un terzo la rappresentanza democratica per recuperare come risparmio per ciascun cittadino il prezzo di un caffè all’anno, c’è chi risponde che non solo 945, ma anche 600 parlamentari saranno comunque troppi. A Rosa Borrelli che sciorina un dato su quanti pochi senatori avranno alcune regioni, viene risposto che di deputati e senatori non c’è proprio bisogno. Un distinto signore ci spiega che il taglio va fatto perché la maggioranza lo vuole: gli replichiamo che questo argomento varrebbe probabilmente anche per la pena di morte e lui mi dice che la maggioranza ha sempre ragione. «Se non li volete tagliare, teneteveli a casa vostra», dicono ad Antonluca Cuoco che distribuisce volantini. Lo stesso argomento usato genericamente per gli immigrati.
La sensazione più forte è che in ballo non ci sia alcun disegno istituzionale e nessuna opinione specifica e netta su quali siano gli effetti concreti della riforma. Molti elettori non considerano il loro diritto alla rappresentanza come un bene da tutelare, ma un orpello, un costo, un favore per troppo tempo concesso a qualcuno di distante e distinto da loro.
«Lei vuole colpire la casta, ho capito», replica Giacomo Santoro a una simpatica signora sessantenne usando gli stessi argomenti che mi aveva offerto. «Ma non le sembra che così la casta sarà ancora più casta perché saranno così pochi a farsi gli affari loro?». «Intanto iniziamo così, poi togliamo anche gli altri», mi sorride e mi augura buona domenica.
Di una cosa il banchetto domenicale mi ha dato conferma: si illude chi pensa che questo taglio dei parlamentari soddisferà il popolo e le sue rivendicazioni anti-politiche. Tagliare le teste – siano dei parlamentari, dei traditori o di qualunque altro “nemico del popolo – non basta mai. Si troveranno sempre altre teste da tagliare. Quei partiti di sistema – a cominciare dal Partito democratico – che hanno infine votato questa riforma per non scontentare l’alleato grillino e per compiacere il pregiudizio antipolitico, stanno in realtà ponendo le basi perché il taglio di più di un terzo dei parlamentari sia solo l’inizio. Seguiranno altre battaglie sugli stipendi, si chiederà l’abolizione di ogni privilegio e garanzia, si imporrà la democrazia plebiscitaria sopra la “vetusta” democrazia rappresentativa.
Non c’è un elettore del Sì che consideri la riforma come un punto d’arrivo, non c’è alcun pathos riformatore o modernizzatore: nessuno ti spiega che così il Parlamento a suo parere funzionerà meglio, c’è solo il desiderio di comminare una sanzione sociale alla politica in senso lato. E come tutte le rivolte anti-istituzionali, anche questa rischia di portare, anzi sta già portando, non all’autogoverno perfetto o al trionfo della democrazia diretta, ma all’invocazione dell’uomo forte, dell’interprete autentico della volontà generale, al führer delle frustrazioni sociali. Non è storia solo del Novecento, ma dell’intera storia politica dell’umanità. Nella Grecia antica si capì subito che l’oclocrazia, cioè il potere di masse condizionate e inconsapevoli e l’odio per qualunque istituzione politica non porta a uno stadio più evoluto della democrazia, ma alla tirannide.
Messaggio a chi può ancora aiutarci a difendere la democrazia da un virus più pericoloso del Covid-19: abbiate il coraggio di anteporre il bene della democrazia italiana futura alla sopravvivenza nella politica di oggi, che di questo passo non è destinata a risparmiare nessuno e riproporrà l’illusione fatale dell’uomo solo al comando.
*Vice-segretario di PiùEuropa