Meglio lavarsi le maniLe mascherine servono, non servono, boh, chissà, ma di sicuro servono al personale sanitario

Gli esperti spiegano che non proteggono dal virus, ma allo stesso tempo dicono che sono fondamentali per i medici e i first responder. Quindi servono! Però sarebbero diseducative e difficili da usare. La Francia le ha nazionalizzate, gli americani ne hanno ordinato alcune centinaia di milioni

ANDREAS SOLARO / AFP

Dall’inizio dell’emergenza del coronavirus la domanda di mascherine è aumentata in modo esponenziale. Sul mercato italiano e internazionale il dispositivo è stato facile preda di speculazioni, arrivando a costare fino a mille euro sulle piattaforme digitali e diventando merce introvabile nelle farmacie.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) raccomanda l’uso delle mascherine solo per coloro che presentano determinati sintomi (febbre, tosse o raffreddore, sintomi questi cosiddetti «simil-influenzali» e quindi associabili al coronavirus), e mostra in un apposito video come indossarle nel modo corretto, mentre in Italia virologi e ricercatori continuano a raccomandare ai cittadini di seguire prima di tutto le norme di igiene: lavarsi spesso le mani, evitare baci, abbracci e strette di mano. Confermando che le mascherine devono essere usate solo da chi presenta «i sintomi di una sindrome respiratoria».

Ad eccezione del personale sanitario, medici, infermieri, studenti di medicina e paramedici, addestrati per indossare e togliere correttamente le mascherine, il loro utilizzo da parte dei cittadini «rischia di abbassare la soglia di attenzione». Attenzione che, secondo il microbiologo medico e contributor di Medical Facts Nicasio Mancini, deve essere massima «nel non toccare con le mani la bocca, gli occhi o il naso, precauzioni che possono fare davvero la differenza». Si tratta di norme di «buon senso» in linea con quanto stabilito dall’Oms e che senza dubbio per Mancini e il virologo Roberto Burioni devono avere la priorità se si vogliono contenere i contagi. La conferma arriva anche e, soprattutto, dalla letteratura scientifica che «non è affatto univoca sulla piena efficacia delle mascherine se non – precisa il microbiologo – su chi è già sensibilizzato e sa come impiegarle».

Oggi questo vale anche per chi è impegnato in prima linea nella “zona rossa”, per esempio, carabinieri, agenti di polizia, militari, perché equiparati al personale medico-sanitario – sostiene Mancini – oltre per chi già opera negli ospedali o nelle cliniche. Negli Stati Uniti, il capo esecutivo del servizio di salute pubblica Jerome Adams ha chiesto ai cittadini americani di smettere di comprare le mascherine: «Non sono efficaci nell’impedire al pubblico generale di contrarre il coronavirus, ma la loro mancanza per gli operatori sanitari che si occupano dei malati mette in pericolo loro e le nostre comunità».

Secondo Robert Kadlec, del dipartimento di Sanità, gli Stati Uniti possiedono soltanto 35 milioni di mascherine N95, in grado di filtrare circa il 95% di liquidi e particelle, quando per affrontare l’epidemia al massimo picco ne servirebbero 3,5 miliardi da distribuire al personale medico. L’Amministrazione sta pensando di utilizzare i poteri speciali garantiti dalla Defense production act che dà al governo la possibilità di aumentare la produzione nazionale di determinati prodotti in caso di necessità.

Per evitare di trovarsi in una situazione simile, in Germania ne è stata vietata l’esportazione, mentre in Francia il presidente Emmanuel Macron ha deciso di requisire tutte le mascherine che non potranno più essere acquistate se non sotto prescrizione medica, suscitando non poche polemiche tra le opposizioni: «È una decisione molto simbolica che serve a rassicurare la popolazione sul fatto che il governo prende tutte le responsabilità necessarie in materia di gestione della crisi», ha detto una fonte dell’Eliseo all’Afp.

Le scelte sono dunque dettate dalla necessità di convogliare le mascherine là dove servono. A Civitanova Marche, la GammaDis, azienda che produce dispositivi medico-sanitari è sommersa dalla domanda di mascherine. Non soltanto dall’Italia ma anche da diversi paesi europei. Come ammette l’amministratore delegato Alberto Angelini è impossibile soddisfarla completamente: «Lunedì scorso ho incontrato una delegazione polacca che ha chiesto un ordinativo di 26 milioni di mascherine», dice a Linkiesta.

«Quando è iniziata l’emergenza da un giorno a un altro ci siamo ritrovati davanti una “processione” di privati cittadini, che non sapevano che noi non vendiamo al dettaglio, ma che operiamo invece tramite specifici canali di vendita per farmacie, ospedali – dalla Sicilia alla Lombardia – per i Carabinieri, la Protezione Civile e persino la presidenza del Consiglio dei Ministri, a cui ho dovuto spiegare quanti tipi di mascherine esistono in commercio e che non ci sono differenze tra una FFP1, FFP2 o FFP3 o quelle chirurgiche per proteggersi da virus e batteri».

Il 90 per cento dei contagi avviene tramite la salivazione. Le mascherine, dispositivi sanitari, garantiscono protezione grazie al “tessuto non tessuto” di cui sono composte. «Un materiale impermeabile che protegge sia dalla saliva sia da microparticelle ruvide. La valvola in plastica di cui sono dotate alcuni tipi di mascherine non serve ad altro che a favorire la respirazione, non a proteggere di più. Per chi sa usarla in modo corretto è solo un primo filtro di protezione». Ma ad averne bisogno in Italia, come negli altri paesi europei, adesso sono ospedali, ambulatori, cliniche. «Persino cliniche veterinarie», racconta Angelini. «Di ordini ne arrivano in continuazione. Riforniamo solo l’Italia ora, dall’Istituto Maugeri agli Ospedali Riuniti delle Marche, ma l’approvvigionamento è disorganizzato, perché al momento non esiste una centrale unica di acquisto».

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