La musica, intesa come l’intero processo di circolazione nel sistema di relazioni musicali, può diventare politica in molti modi diversi – può acquisire rilevanza politica se usata in modo politico. Ma la musica popolare è allo stesso tempo sia un prodotto estetico che il risultato di processi politici. Di conseguenza, in alcuni regimi particolari chi governa può influenzare la creazione e la ricezione della musica attraverso la censura o la promozione di certi stili, l’assegnazione di frequenze radiofoniche, sistemi di quote per la musica straniera, limitazioni alle esibizioni live, e altro ancora. La Repubblica Democratica Tedesca è l’esempio perfetto dei diversi modi in cui la musica popolare può assumere rilevanza politica.
La vita culturale nella DDR è stata caratterizzata fino alla fine da una forte istituzionalizzazione, che cercava di regolamentare e controllare tutto in nome dell’immagine socialista dell’essere umano. La musica non veniva giudicata con criteri di mercato ma su base ideologica, poiché l’arte era intesa (dalla SED, il partito di governo) come una vera e propria arma nella lotta di classe.
Come ha scritto il musicologo Michael Rauhut, la storia del rock nella DDR è la storia di una capitolazione davanti allo strapotere dell’Occidente, segnata da opportunismo e schizofrenia. Anche i trend più combattuti venivano presto o tardi canonizzati ed incorporati dalla burocrazia, dal momento che il loro reale impatto nella vita quotidiana non poteva essere ignorato. L’avvento dell’era beat nei primi anni Sessanta fu accolta dapprima con favore dalla politica (cioè dalla SED), perché la massiccia diffusione della chitarra corrispondeva formalmente al sogno di un «movimento artistico popolare». Questo tipo di musica, definito Gitarrenmusik, inizialmente venne addirittura sostenuto dalla FDJ (Freie Deutsche Jugend, “Libera Gioventù Tedesca”, l’organizzazione giovanile della SED) anche tramite concorsi per musicisti e trasmissioni dedicate su DT64, l’emittente radio “ufficiale” per i giovani. Questo clima di apertura però cambiò rapidamente: i leader del regime temevano di perdere il proprio monopolio statale sulla cultura, dal momento che i giovani in questa musica cercavano una forma di autodeterminazione culturale. I giovani facevano musica autonomamente, senza controllo statale, sebbene fin dal 1957 fosse necessario un permesso speciale per suonare musica leggera e da danza – inclusa ogni forma di musica popolare o folk.
Fondamentale per lo sviluppo della musica rock nella DDR fu l’undicesimo Congresso del Comitato Centrale della SED, nel 1965. In quell’occasione Erich Honecker – all’epoca non ancora Segretario Generale e vertice della piramide ma responsabile del dipartimento della sicurezza, che teoricamente nulla aveva a che fare con cultura e ideologia – attaccò duramente la politica di promozione della cosiddetta Gitarrenmusik sostenuta tra gli altri dalla FDJ, in quanto incompatibile con l’ideale socialista dell’essere umano. Il nemico capitalista sfrutta questo tipo di musica e i suoi ritmi accelerati per spingere i giovani agli eccessi e per insinuare la decadenza occidentale nei loro pensieri e nelle loro azioni.
Come già detto, non si trattava tanto di giudizi estetici, quanto piuttosto del fatto che la musica rock era in grado di rivolgersi con mezzi molto elementari (ad esempio, era piuttosto facile trasformare una radio in un amplificatore per chitarra) a una platea molto ampia, fatta soprattutto di giovani. Il comportamento dei fan, in particolare la formazione spontanea di gruppi nel tempo libero, veniva visto come un attacco diretto all’autorità dello stato, perché si intravedeva la minaccia reale di perdere il controllo su qualcosa che si voleva invece tenere saldamente in pugno: lo sviluppo della gioventù al di là della scuola e del lavoro. C’era in ballo la creazione di una sfera pubblica situata al di fuori del dominio dello stato.
Dopo l’undicesimo Congresso ogni forma di supporto ufficiale alla beat music si interruppe, e la FDJ cercò di sviluppare un’alternativa alla Gitarrenmusik attraverso il progetto del Singebewegung (una specie di cantautorato), che avrebbe dovuto rappresentare un sostituto artisticamente valido ma in accordo ai requisiti ideologici della DDR. Quando però divenne chiaro che le misure restrittive del governo non erano in grado di arginare il fenomeno della schädliche (“deleteria”) musica rock, essa venne in qualche modo riconosciuta ufficialmente nel 1971 con la creazione della cosiddetta Jugendtanzmusik (letteralmente “musica giovanile da ballo”) quale legittima attività culturale per la gioventù, inclusa nella produzione culturale socialista. Il rock socialista aveva ora il compito di contribuire all’educazione dei giovani, di fungere da modello.
Venne messo in moto un enorme apparato burocratico, che si occupava di promuovere o censurare. Nel 1973 fu fondato il Komitee für Unterhaltungskunst («Comitato per l’arte e l’intrattenimento»), incaricato di controllare i musicisti e i contenuti delle loro composizioni, ma anche di sostenerli. Inoltre, al di sotto del livello centrale di coordinamento si estendeva una sterminata rete di sottocomitati ed enti competenti, anch’essi deputati a controllare e indirizzare la musica rock. La realtà però era ben diversa, dal momento che le autorità con la loro ossessione pianificatrice si mettevano sempre in mezzo.
Il controllo era assicurato da un ampio ventaglio di misure. Innanzitutto era necessario un permesso speciale emesso dallo stato per esibirsi in pubblico – la musica di strada come espressione spontanea era proibita, in quanto troppo difficile da gestire. Questo permesso veniva rilasciato da una commissione in base a criteri politici di «popolarità in senso estetico e formativo» e di «rilevanza sociale»; per essere registrati come musicisti professionisti bisognava inoltre possedere un certificato di formazione musicale nell’ambito della Tanzmusik, altrimenti si rimaneva dilettanti. La registrazione come musicisti professionisti garantiva compensi adeguati e altri vantaggi, e ottenere il permesso era di cruciale importanza: dopotutto, i concerti dal vivo erano la principale fonte di reddito per chi suonava. Lo stato aveva poi il monopolio non solo sulla formazione e sull’organizzazione degli eventi, ma anche sulla diffusione della musica in radio e in tv. La distribuzione era in mano alla VEB Deutsche Schallplatten, con l’etichetta Amiga dedicata al rock.
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