Le frasi di OshaI consigli dell’Unione europea alle imprese che riapriranno nella fase 2

L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-Osha) ha elaborato le linee guida per tutelare la salute del personale che sta per tornare in fabbrica o in ufficio e per evitare il ritorno del contagio 

L’economia deve ripartire, ma non può aumentare il contagio. Maggio sarà il mese della «fase 2». In Italia le misure si allenteranno a partire da lunedì 4 maggio, le altre nazioni come Francia e Spagna seguiranno nelle settimane successive, mentre nei Paesi meno colpiti come la Germania è già cominciato il rientro. Per coordinare la transizione, l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) ha elaborato delle linee guida, con indicazioni pratiche a tutela della salute del personale che sta per tornare in fabbrica o in ufficio. 

L’Agenzia ha sede a Bilbao, capitale industriale della Spagna, e dal 1994 ha come missione rendere l’Europa un posto più sicuro dove lavorare. Su mandato della Commissione europea, ha messo a punto un report che è una specie di supplemento alla solita antinfortunistica. «Questa guida fornisce risposte a domande concrete degli imprenditori», ha spiegato Nicolas Schmit, commissario al Lavoro e ai Diritti Sociali.  

 

Il coronavirus non è stato sconfitto. Per un po’ dovremo conviverci. Per questo, il primo imperativo è abbattere il rischio che l’infezione possa trasmettersi sul luogo di lavoro. All’inizio dovrebbero rimettersi in moto solo i rami d’azienda essenziali, quelli impossibili da rimandare. Se un servizio può essere erogato da remoto (è il caso di consulenti e liberi professionisti), non ha senso riattivarlo dal vivo: meglio continuare al telefono o in videochiamata. 

L’interazione fisica va eliminata tanto fra colleghi quanto nei confronti dei clienti. Per facilitare l’isolamento dei dipendenti, si consiglia di suddividerli negli ambienti, riconvertendo mense e sale riunioni. Chi ha malattie croniche o appartiene alle fasce d’età più esposte può essere protetto venendo distaccato in smart working. Predisporre punti di raccolta all’esterno facilita le consegne. Agli autisti devono essere garantiti presidi sanitari durante il trasporto. 

Se non si può osservare la distanza di almeno due metri, si possono costruire «barriere impervie» con una certa creatività: schermi di plastica, pannelli in plexiglass, ma persino mobilio, come scaffalature e armadi, o i box del magazzino. «Vanno evitati oggetti che non siano solidi o abbiano buchi, come vasi di piante», raccomanda l’Osha. Un’altra soluzione è lasciare vuote scrivanie e postazioni con un intervallo sufficiente al distanziamento sociale.  

Quando il contatto non può essere cancellato, va tenuto al di sotto dei 15 minuti e comunque scaglionato. Una sola persona alla volta in bagni e spogliatoi, mentre l’afflusso alle aree comuni può essere contenuto organizzando più turni per la pausa pranzo. Maniglie delle porte e superfici vanno pulite spesso, nei loro dintorni vanno istallati dispenser di gel igienizzante. In questa fase, i mezzi di trasporto privati vanno preferiti a quelli pubblici, quando possibile. Se tutto ciò non bastasse, mascherina e guanti sono obbligatori. Chi accusa sintomi sta a casa, non lo si ripete mai troppe volte. 

 

 

Ristrutturare i locali e ridistribuire i flussi di lavoro è uno step preliminare: va messo in pratica prima della riapertura. La formazione extra facilita l’ingresso nella nuova routine. Oltre al lato sanitario, prioritario, non va trascurata la psicologia. Ansia e stress sono risposte naturali a una situazione senza precedenti, come tali vanno trattate. Si può restare umani anche senza violare le distanze, la conversazione non è bandita sotto la mascherina. La salute mentale è imprescindibile nella «fase 2». Dopo settimane di paura e purtroppo lutti, parte del personale potrebbe rifiutare di tornare in servizio: è comprensibile, vanno scongiurate le forzature. Come rassicurare? Applicare i protocolli alla lettera, innanzitutto, e illustrarli in dettaglio, chiarendo come funziona ogni contromisura. 

Una percentuale consistente dell’organico potrebbe essere ancora in quarantena o, purtroppo, malato. In generale, aumentare i carichi per compensare le assenze è la risposta peggiore. Se inevitabili, gli straordinari vanno ridotti al minimo in modo che le persone possano «staccare» e prendersi cura della famiglia. Contro gli imprevisti, la guida consiglia di insegnare competenze interscambiabili, così da assicurare il funzionamento della macchina produttiva anche se manca qualche ingranaggio. 

Malgrado la buona stampa di cui ha goduto, il telelavoro è sempre stato più l’eccezione della regola. Per centinaia di migliaia di europei questa è la prima volta. Soprattutto in Italia: siamo al 19esimo posto nella graduatoria stilata dall’Eurostat. Il soggiorno assomiglia a un home office se si consente, ovviamente con tutte le cautele, di trasportarvi l’equipaggiamento necessario, riscattando computer, monitor e stampanti, ma pure lampade e sedie, che altrimenti resterebbero inutilizzati. 

Non tutti sono a proprio agio con la tecnologia, quindi è salvifico il supporto dei tecnici. Una videoconferenza spaventa più di inviare una mail: l’«addestramento» fornito oggi è un investimento per il dopo-virus. Una pausa ogni trenta minuti, per non fossilizzarsi alla scrivania. L’OSHA propone addirittura un «caffè virtuale» per non rinunciare alle chiacchiere con i colleghi (se sono indesiderate, adesso è più facile evitarle).  

Infine, c’è il fattore campo. Come ricorda un collegamento della BBC, che passerà alla storia saranno all’ordine del giorno le comparsate di figli e partner, magari entrambi in telelavoro, con conseguente spartizione delle stanze. Non è la fine del mondo. Flessibilità. Lo dice un’Agenzia europea, potete fidarvi. Gli esseri umani sono animali adattivi, i nostri antenati sono sopravvissuti all’era glaciale. È il nostro turno. 

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