Sparizioni, arresti, voltafaccia e scontri di potere: mentre l’attenzione globale si concentra sulla lotta della Cina contro il COVID-19 e sulle misure che il Partito comunista cinese adotterà per sconfiggere l’impatto economico del virus, a Pechino è in corso anche un’altra partita. Si svolge tra gli insidiosi corridoi di Zhongnanhai – il «Cremlino Cinese» – e alcune delle società più importanti della nazione. Coinvolge le élites ricche e colte della capitale. La posta in gioco, ancora una volta, è la direzione che intraprenderà il Pcc, la macchina politica più potente del mondo.
La messa in stato d’accusa di Ren Zhiqiang è stata ufficializzata il 7 aprile, dopo che l’anziano milionario era sparito nel nulla insieme al figlio e al segretario da quasi un mese. La Commissione Centrale per la Disciplina – il massimo organo di controllo interno del Pcc – ha annunciato che Ren è sotto inchiesta per «serie violazioni della disciplina di Partito e della legge», la formula standard adoperata per indicare casi di corruzione e abusi di potere, ma il passo falso che ha provocato la caduta del magnate è tutto racchiuso in un saggio scritto alcune settimane fa, nel quale Ren Zhiqiang criticava a muso duro la risposta del presidente Xi Jinping all’epidemia.
L’ex presidente di Huayuan – uno dei colossi a capitale pubblico dell’immobiliare di Pechino – Ren Zhiqiang, 69 anni compiuti da poco, è iscritto al Partito da sempre, ma i circa 38 milioni di follower che non si perdevano neanche uno dei suoi post su Weibo (la versione cinese di Twitter) lo avevano soprannominato “il Cannone” per gli attacchi ad alzo zero contro la leadership. La rete di parentele e relazioni personali di cui ha sempre goduto nella complessa società cinese è di primissimo piano: come figlio di un ex viceministro del Commercio e di un’alta funzionaria della Municipalità di Pechino, Ren è a tutti gli effetti un taizi, un «principe rosso» o «principino», il termine col quale in Cina si indicano i discendenti di esponenti di rilievo del Partito. Una vecchia foto lo ritrae da bambino sulle ginocchia di Kim Il-sung, il primo dittatore nordcoreano, ex compagno di scuola della madre. Il pedigree gli permette di coltivare rapporti importanti come quello con Yu Zhengsheng, un ex esponente del Comitato Permanente del Politburo – il vertice del potere cinese – e di prendere sotto la sua ala prottetiva figure come Liu He, l’attuale negoziatore della Cina nella guerra dei dazi contro gli Stati Uniti.
La sua carriera lo proietta ai vertici di Huayuan e di Bank of Beijing, tanto che nel 2010 – secondo i media cinesi – è uno dei dirigenti di società statali più pagati di tutta la Cina, con uno stipendio pari a oltre un milione di dollari. Negli anni a cavallo delle Olimpiadi del 2008, mentre nella capitale i prezzi delle case raggiungono livelli senza precedenti, Ren Zhiqiang è uno dei protagonisti del forsennato boom immobiliare di Pechino, e allo stesso tempo promuove un esclusivo club di lettura nel quale si commentano libri come “La Democrazia in America” di Alexis de Tocqueville o “Le Origini del Totalitarismo” di Hannah Arendt. «Il mio obiettivo è aiutare le nuove generazioni a sviluppare il pensiero indipendente», dichiarerà Ren. Ma l’amicizia più importante, quella che potrebbe avere effetti imprevedibili sul suo arresto, è il legame con Wang Qishan, il Mr. Wolf del Partito comunista cinese.
I due, ex compagni di liceo, continuano ad avere lunghissime conversazioni su politica e affari anche mentre la carriera del secondo lo promuove alla poltrona di sindaco di Pechino nel momento peggiore: durante l’epidemia di SARS del 2003 Wang Qishan esautora il suo predecessore, incapace di gestire la crisi, e promuove un approccio trasparente alla diffusione dei dati sul contagio. Questa decisione spalancherà a Wang i cancelli del gotha del Partito, preceduto dalla fama di personaggio tutto d’un pezzo adatto a gestire le situazioni più complesse, promuovendolo al Comitato Permanente del Politburo con una delega all’anticorruzione decisa da Xi Jinping in persona. Privo di figli e di vincoli di cordata, Wang Qishan è l’uomo ideale per attuare la campagna indiscriminata di arresti di dirigenti e alti funzionari iniziata nel 2012, che secondo i detrattori di Xi Jinping sarebbe solo una purga per radere al suolo tutte le correnti e disintegrare la dialettica interna al Partito.
La caduta di Ren Zhiqiang si consuma in due atti, più o meno nello stesso periodo. Il 22 febbraio 2016 il grand commis di Stato, ormai in pensione, pubblica un post incendiario sul diktat presidenziale di qualche giorno prima, col quale Xi Jinping aveva dichiarato senza mezzi termini che i media cinesi devono servire il Partito. L’ultimo leader cinese a vincolare informazione e ideologia in termini così espliciti era stato Mao Zedong, ed ecco che il Cannone risponde subito a tono: «Quand’è che il governo del popolo è diventato il governo del Partito? Quando i media smettono di rappresentare gli interessi del popolo e il loro secondo nome diventa “Partito”, il popolo viene abbandonato, ignorato in un angolo».
Il post viene cancellato, la Commissione Centrale della Disciplina sospende la tessera di Ren per un anno e gli impedisce di accedere ai social media a tempo indefinito. Dopo questa punizione Ren Zhiqiang si era ritirato a vita semi-privata, ricevendo solo pochi amici intimi e coltivando la sua ultima passione, la scultura in legno, ma con lo scoppio dell’epidemia il Cannone è tornato a sparare: il 23 febbraio di quest’anno Ren Zhiqiang scrive un saggio intitolato “Memoria e Riflessione”, che invia solo a pochi intimi.
Qualcuno lo fa filtrare al di fuori dell’entourage più ristretto, il saggio diventa virale e il contenuto arriva fino a Zhongnanhai: «Stiamo attraversando una crisi nella gestione del Partito, ma non vediamo alcuna autocritica né alcuna vera indagine sulle ragioni che hanno provocato l’esplosione dell’epidemia». Ren Zhiqiang non nomina mai direttamente Xi Jinping, ma lo accusa di non affrontare alcuna responsabilità: «I vertici del Partito vogliono solo usare i loro “grandi risultati”, così affascinanti e toccanti, per coprire lo scandalo e guidare “l’energia positiva” della pubblica opinione, mettendo a tacere tutti gli appelli a scoprire cos’è successo veramente».
Il Cannone definisce Xi Jinping «un buffone assetato di potere», ma forse il vero atto di lesa maestà consiste nell’evocare il tabù che nessun dirigente del Partito osa mai nominare, lo spettro della Rivoluzione Culturale, il periodo più oscuro della storia del Pcc: «Dopo il discorso del 23 febbraio mi è parso che l’intera Cina stia tornando all’epoca del Grande Balzo in Avanti, quando tutti sventolavano bandiere rosse e Libretti Rossi di Mao inneggiando a “10mila ann” di comando per il Leader».
Ren Zhiqiang sparisce il 12 marzo, adesso le accuse nei suoi confronti sono ufficiali.
La Commissione Centrale per la Disciplina non avrà alcun problema a incriminarlo per corruzione; i dirigenti cinesi del suo calibro conducono sempre affari al di sopra della legge, fa parte del sistema, e raramente i giudici cinesi applicano i criteri del giusto processo. Eppure, la caduta di Ren “il Cannone” Zhiqiang apre a diversi scenari: l’élite pechinese che si era immensamente arricchita alla sua ombra, gli immobiliaristi-rockstar, come l’ex coppia d’oro Zhang Xin e Pan Shiyi che ha plasmato lo skyline della Pechino di questi anni, possono ancora dormire sonni tranquilli? Il compagno di scuola Wang Qishan cercherà di andare in suo soccorso oppure lo abbandonerà, dopo averlo già salvato nel 2016? Forse una timida fronda si sta già raccogliendo intorno a qualcuno, magari lo stesso Wang Qishan, l’uomo che risolse la crisi della SARS nel 2003?
Nelle ultime settimane il Comitato Permanente del Politburo si è riunito diverse volte per gestire la crisi del COVID-19. Anche se dalle trascrizioni ufficiali degli incontri non sapremo mai cosa si sono detti davvero gli uomini più potenti della Cina, tutte queste riunioni suggeriscono segnali di nervosismo.