Cucina di resistenza Evviva le solade e la libertà

Il 25 aprile gastronomico passa attraverso un pane semplice dell'Appennino modenese, che porta con sé il sole e la libertà

Foto di @mozzaincarrozza

Cum panis, ovvero “partecipe dello stesso pane”: parte dall’etimologia della parola “compagno” la scoperta di un frammento di storia gastronomica e di lotta partigiana che riguarda un piccolo angolo del nostro Paese. Un tassello che compone il grande mosaico della Resistenza italiana, unito in sorte dal più sacro e desiderato dei cibi, il pane. Parte da quei valorosi combattenti di Montefiorino – punto strategico, dominante, poche case e una rocca medievale, immerso nella natura rigogliosa dell’Appennino modenese – che, fra i primi, hanno sentito l’urgenza di resistere e lottare, uniti da un forte ideale di giustizia. Si inoltra nei boschi che hanno nutrito le gesta della Divisione Modena Armando e la nascita della prima Repubblica partigiana, il 17 giugno 1944. L’aerea geografica è quella che comprende non solo Montefiorino, ma anche i comuni di Palagano, Prignano, Polinago nel modenese, e di Villa Minozzo, Toano e Ligonchio nel reggiano. 

Dopo l’8 settembre 1943, il caos che scatenò l’armistizio fra le fila dei soldati italiani – incerti sul da farsi per mancanza di comunicazioni ufficiali e per sfuggire alla successiva chiamata alle armi dell’esercito repubblichino – spinse molti di loro a riparare in montagna, dando il la alle prime sparute formazioni partigiane, costrette alla clandestinità.

A marzo del 1944, un massiccio contingente nazifascista intervenne bombardando pesantemente Montefiorino, gli abitati di Monchio, Susano e Costrignano, lasciando sul campo 136 vittime: invece che impaurire e reprimere la voglia di ribellarsi, provocò nella popolazione l’effetto contrario, stimolando la volontà di aiutare i partigiani, con ogni mezzo.

Con la ritirata dei presidi fascisti dalla zona, nel giugno del ’44, Montefiorino si ritrovò libera e indipendente, e colse al volo l’occasione, autoproclamando un proprio governo democratico, con tanto di sindaco e Giunta eletti dalla comunità. Troppo bello per durare a lungo. Si contavano più di 5000 partigiani a Montefiorino, e, il 30 luglio, l’Operazione Wellenstein III portò un altro massiccio attacco dei nazisti, costringendo i partigiani a ripiegare. Senza perdersi d’animo, i nostri eroi ripresero ben presto il controllo del territorio, dando vita alla “seconda” Repubblica di Montefiorino che rimarrà zona libera fino alla Liberazione.

Cum panis, compagni di lotta e di fame, esposti a intemperie e agguati. In tutta Italia, i partigiani si sono sostentati con quello che trovavano in natura, che veniva offerto da contadini o racimolato dalle staffette. Al pane o alla polenta spettava il posto d’onore. In cerchio attorno al fuoco, la condivisione del poco cibo a disposizione assumeva un ruolo liturgico, sacro. Il pane è il simbolo per eccellenza del nutrimento essenziale, povero e prezioso allo stesso tempo. Acqua e -qualsivoglia- farina, e passa la paura. 

A Montefiorino, 800 metri di altitudine, le castagne erano uno dei principali ingredienti per il sostentamento quotidiano, in forma di minestra, di farina per il pane, bollite o in padella sul fuoco vivo.

Ma anche usate per preparare le Solade. “Si realizzava una colla molto semplice di farina di castagne, molta acqua, sale e olio (poco, perché l’olio, il tabacco e il sale erano le poche cose che non si potevano auto-produrre) oppure dello strutto in una grande padella rotonda sul fuoco vivace, le si facevano cuocere. Si giravano, si toglievano e si condivano con un leggero strato di “battuto, che era un miscuglio di lardo di maiale, aglio e rosmarino. Si metteva, quando c’era, un po’ di Parmigiano o le caciotte grattugiate fatte in casa e si piegavano in quattro. Erano molto simili ai “ciacci” o “borlenghi” (incroci tra crêpe e piadine, tipici in Emilia Romagna) che venivano però impastati con farina di frumento, cotti su un paio di cottole calde e unte con la “sòngia”, cioè la cotenna del prosciutto. Il nome Solade, lo prendevano dalla padella in cui venivano cotte: “E suul”, cioè “il sole”, una padella che ogni famiglia del luogo possedeva, rotonda, in rame, di dimensione variabile e a bordo non tanto alto.” Cibo semplice, ricco di nutrimento e facile da condividere: l’essenziale per esistere e resistere. 

Partigiane a Montefiorino, foto Fondo Corti, conservato presso Fondazione Fotografia Modena, proprietà Comune di Montefiorino

A raccontarci questo piccolo tassello di storia locale italiana sono Roberto Tincani, storico locale, e Massimiliano Arbuti, autore Rai e appassionato divulgatore storico, guide per il Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza Italiana, entrambi membri della locale sezione Anpi e vivaci protagonisti di eventi di rievocazione storica. Con L’associazione Storico Culturale Tricolore (dedita alla ricerca storica, memoria e conservazione del patrimonio storico ed ideale della Guerra di Liberazione Nazionale 1943-1945) sono stati protagonisti dell’evento rievocativo di public history per la celebrazione del 75° anniversario della repubblica di Montefiorino, lo scorso giugno, intitolata “I ribelli della montagna”, con un’inattesa e sentita partecipazione di pubblico pagante. Per ovvi motivi, quest’anno non si potrà replicare, ma ci sarà comunque il modo di ricordare il sacrificio dei ribelli di Montefiorino, grazie alla diretta via Facebook, oggi dalle ore 15, sulla pagina intitolata “Col Passo A Tempo Di Chi Sa Ballare”. L’evento social che gode del patrocinio dei comuni interessati, vanta la partecipazione di numerosi artisti con testimonianze, video e performance live (dal salotto della loro casa) di Modena city ramblers, Mercanti di liquore, Yo yo mundi, Massimo Zamboni dei CCCP e altri. A noi, – laici, fedeli o fedeli alla linea- non resta che procurarci una qualsivoglia farina e dell’acqua, poco sale e una goccia d’olio, e commemorare le gesta di tutti quei ragazzi che hanno dato la vita per la nostra libertà, impastando con tutto l’amore che abbiamo. Pane e memoria sapranno sfamare il nostro quotidiano bisogno di libertà.

 “Compagno è una bella parola, è un bel rapporto quello tra compagni. Amico è una cosa più interiore. Compagno è la proiezione pubblica e civile di un rapporto in cui si può non essere amici ma si conviene di lavorare assieme”

ROSSANA ROSSANDA, “LA RAGAZZA DEL SECOLO SCORSO”, @propagandalive

Foto di @mozzaincarrozza