Lunga conservazione della filieraLa strategia per farci mandare dalla mamma a prendere il latte, anche se c’è il covid-19

Granarolo ha attivato un servizio diretto al consumatore a Bologna, Modena e Milano e chiede di aumentare la scadenza da 6 a 12 giorni, visto che ogni anno oltre 123mila tonnellate rimangono nello scaffale perché ritenuti scaduti

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«Su trova una scusa / per uscire di casa»: se le canzonette avessero data di scadenza, quella di Fatti mandare dalla mamma, che Gianni Morandi cantava a diciott’anni, di questi tempi andrebbe come minimo prolungata. La stessa cosa su cui insiste da settimane Gianpiero Calzolari, presidente del gruppo Granarolo: rendere possibile la vendita del latte fresco con una scadenza non di 6 ma di 10-12 giorni. A che latte si riferisse Morandi nel 1962 non lo sappiamo, ma la geografia non ci fa escludere che fosse quello della cooperativa nata cinque anni prima a Granarolo dell’Emilia, nel bolognese, a cinquanta chilometri dal suo paese natale.

Non è la prima volta che l’azienda fa questa proposta, ma oggi a giustificarla è anche il calo di vendite determinato dalla pandemia: «La legge che fissa la data di scadenza del latte fresco a 6 giorni è stata scritta 30 anni fa», spiega Calzolari. «Come abbiamo ampiamente dimostrato, le condizioni igieniche alla stalla e i nuovi processi di pastorizzazione oggi consentono al prodotto di arrivare senza dubbio a 10 giorni.

Si stima che il latte fresco che rimane a scaffale in seguito alle scelte dei consumatori determinate dalla data di scadenza ammonti a 123.000 tonnellate all’anno. Quindi crediamo che prolungare la scadenza sia anche un modo per ridurre lo spreco alimentare del latte fresco, che ha un valore aggiunto e una qualità molto superiori all’Uht».

Granarolo è la maggiore filiera italiana del latte, con oltre 600 allevatori in 12 regioni, 14 siti produttivi in Italia e 7 all’estero. Il gruppo – che include anche i marchi Yomo, Pettinicchio e Centrale del latte di Milano – ha chiuso il 2019 con un fatturato di 1,3 miliardi di euro (1,2 per cento in più rispetto all’anno precedente) e i migliori risultati registrati proprio nelle vendite all’estero – Cina compresa –, che rappresentano il 33 per cento del giro d’affari (+4 per cento). Negli ultimi mesi il gruppo ha messo in vendita alcune attività non core-business, tra cui la Pandea (prodotti da forno), Conbio (vegetale e biologico) e Pastificio Granarolo.

Dall’inizio del blocco causato dalla pandemia, la chiusura del mercato fuoricasa – bar, mense, pizzerie – ha fatto crollare gli ordini del settore del 30 per cento e i limiti delle esportazioni stanno ridimensionando molti mercati stranieri. Al contrario, è aumentato l’acquisto di prodotti lattiero-caseari da parte degli italiani nella grande distribuzione: Assolatte su dati Nielsen ha fotografato una crescita del 79,7 per cento nella vendita del burro, del 34,1 per cento nella vendita di latte Uht e del 44 per cento per la mozzarella tra il 16 e il 22 marzo.

Calzolari conferma, e aggiunge: «Abbiamo riscontrato una maggiore propensione ad acquistare prodotti a lunga conservazione a scapito dei freschi. Questo ha penalizzato il latte fresco a vantaggio dell’Uht. Gli altri prodotti hanno tenuto bene in termini di volumi, penso a mozzarelle, stracchini, ricotta. Quindi abbiamo dirottato grandi quantità di latte fresco in prodotti che la grande distribuzione sta assorbendo meglio, come il latte a lunga conservazione e le mozzarelle». Crescite che tuttavia non compensano le perdite del canale fuoricasa e dell’export.

Per ridurre le perdite, a inizio aprile il gruppo ha attivato un servizio diretto al consumatore a Bologna, Modena e Milano: spesa a casa di un paniere selezionato di prodotti alimentari (lattiero-caseari ma anche uova, pasta, farina, prosciutto, insalata pronta, merende, biscotti) con consegna gratuita in 48 ore dall’ordine e quotidiano in omaggio. «L’iniziativa ha avuto molti apprezzamenti e stiamo valutando di proseguire nell’esperimento ampliando il paniere di prodotti ordinabili», spiega Gianpiero Calzolari. 

«Durante la fase inziale della pandemia abbiamo rimandato di qualche settimana le pianificazioni per concentrarci sulle procedure e il reperimento dei dispositivi di protezione da adottare negli stabilimenti e in distribuzione per assicurare le nostre persone, senza mai interrompere la produzione», continua Calzolari. «Oggi produciamo regolarmente ma abbiamo adottato molte procedure e dispositivi nuovi che manterremo anche nella fase 2».

Oltre alla sezione produttiva c’è il problema degli uffici condivisi: fino ad ora i dipendenti hanno lavorato in smart working, per la nuova fase si sta pensando a rientri alternati. La gestione dell’epidemia da parte dell’azienda è diventata un modello, citato dal presidente della Regione come riferimento per le altre aziende nella fase 2: «Una grande impresa», ha detto Stefano Bonaccini il 17 aprile, «che ha duemila dipendenti sparsi in tutta Italia, non ha mai chiuso e ha avuto casi di infezioni che si contano sulle dita di una mano».

Per tutelare i dipendenti l’11 marzo è stata attivata anche una copertura assicurativa che prevede un’indennità giornaliera in caso di contagio e che verrà mantenuta per tutto il 2020. È stato previsto inoltre un riconoscimento di 200 euro medi netti a persona come indennità per il periodo marzo-aprile a favore dei lavoratori in produzione e di chi si occupa delle consegne in Lombardia ed Emilia Romagna. 

Infine le donazioni: in accordo con le autorità e la Protezione Civile, il gruppo e la sua filiera di soci allevatori hanno destinato 300.000 euro per l’acquisto di attrezzature sanitarie necessarie a fronteggiare il diffondersi dell’epidemia (tende da triage sanitario e materiale da laboratorio). L’azienda ha donato anche 150.000 euro al Policlinico Sant’Orsola di Bologna e 100.000 mascherine chirurgiche e generi alimentari agli operatori sanitari e ai volontari.

«Ora si riparte con le campagne previste, la prima sarà Yomo e, a seguire, il latte Granarolo. Utilizzeremo prevalentemente la tv e l’online. Punteremo a novità che rispondono a richieste dei consumatori: più naturalità, più sostenibilità, maggiore durata», conclude Calzolari. «L’Italia che resiste sono le persone che con senso di responsabilità ci permettono di continuare a portare i nostri prodotti nelle case degli italiani e le tante persone che devono limitare i propri spostamenti quando non sono necessari». In altre parole: non trovate una scusa / per uscire di casa. Neanche «prendere il latte» lo sarebbe.

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